Nasceva 150 anni fa l’Impressionismo. A Milano, Palazzo Reale lo celebra con ‘Cézanne – Renoir. Capolavori dal Musée de l’Orangerie e dal Museo d’Orsay
150 anni fa, il 15 aprile 1874, nasceva l’Impressionsimo: quando un gruppo di artisti mal visti e rifiutati dai Salon ufficiali decide di organizzare una mostra indipendente, senza il patrocinio dell’Accademia, nello studio del fotografo Nadar (e la cosa non è priva di significato) sul Boulevard des Capucines. Fu un evento che solo più tardi avrebbe rivelato la sua portata rivoluzionaria: vi parteciparono infatti alcuni giovani artisti destinati a diventare i promotori di un nuovo e diverso modo di concepire l’arte, come Monet, Degas, Berthe Morisot, Pissarro, Sisley… Tra loro anche Paul Cézanne e Pierre-Auguste Renoir, i due maestri in mostra nelle sale di Palazzo Reale a Milano, di indubbia rilevanza nella storia dell’Impressionismo. Colleghi e amici in vita, in realtà si orientano poi verso obiettivi e soluzioni diversi ma ugualmente fondanti per le correnti del moderno e per le future avanguardie: come dimostrano le due opere di Picasso, presenti in mostra, ispirate a due loro dipinti. Per questo quella data è poi rimasta nella storia come l’inizio di un processo destinato a cambiare radicalmente il corso dell’arte; non da ultimo perché fu proprio in quella occasione che nacque il termine “impressionismo”, derivato dal titolo del celeberrimo dipinto di Monet ‘Impression, soleil levant’.
Ora, noi sappiamo che nulla nasce dal niente, ma che tutto si evolve per via di relazioni selettive (di continuità o contrasto) con quanto avviene attorno a noi; ragion per cui anche l’Impressionismo ha i suoi debiti che vanno pure evidenziati, in particolare con la Scuola di Barbizon e il Realismo di Courbet e Daumier; ma se ne distingue presto per il suo diverso orientamento rispetto alla scelta dei soggetti e agli intenti morali o sociali che animavano quegli artisti. Verso quali altri orizzonti e per lasciarci quale eredità? Ci limiteremo ad alcuni aspetti fondamentali.
© 2024 RMN-Grand Palais / Franck Raux/ Dist. Foto SCALA, Firenze
Auguste Renoir, Bouquet de tulipes
Gli impressionisti chiudono con la campagna e il duro lavoro nei campi, con i Funerali a Ornans e con la denuncia della miseria del sottoproletariato urbano; da borghesi quali sono cantano invece la città moderna, la Ville Lumière con i suoi caffè e bistrot, le stazioni ferroviarie e i nuovi ponti, i luoghi ricreativi come i bagni pubblici, i teatri e le sale da ballo, le feste comunitarie e le regate sulla Senna. Anticipando il futurismo, sono gli indiscussi antesignani che esaltano i grandi cambiamenti apportati dalla industrializzazione e dalla modernizzazione, dagli sventramenti urbanistici e dai nuovi progetti per la città che cresce, dalle innovazioni tecnologiche e sociali come treni e battelli a motore, la macchina fotografica, le esposizioni internazionali e l’illuminazione urbana, i parchi di pubblico divertimento e la nuova moda, perfino i colori a olio già pronti all’uso e in piccoli tubetti.
La possibilità di muoversi in treno per andare a dipingere fuori città, unitamente alla comodità di potersi portare sulle spalle cavalletto pieghevole e tubetti di colore, quanto basta per una pittura rapida ‘en plein air’, li spinge a radicali cambiamenti: non più schizzi presi sul posto e dipinti poi su tempi lunghi all’interno dello studio, ma pitture realizzate in presa diretta davanti al ‘motivo’: o riescono o falliscono. Dipingono con pennellate rapide o a tocchi vibranti come le fronde degli alberi mosse dal vento, come il fruscio delle acque; non più su fondi preparati in scuro, ma sul bianco della tela e con colori luminosi. E a conferma di tali scelte si avvalgono pure dei recenti contributi scientifici e praticano la ricomposizione ottica, cioè l’accostamento di colori puri dati per tocchi separati ma che si fondono nella retina di chi li osserva. Di conseguenza la tavolozza si schiarisce, il colore vibra, la tecnica guadagna in libertà e freschezza: la pittura accelera i suoi ritmi, vive! Ma bisogna sentirlo ed esserne convinti.
© 2024 RMN-Grand Palais / Franck Raux/ Dist. Foto SCALA, Firenze
Paul Cézanne, Portrait du fils de l’artiste
Per i detrattori dell’accademia, quelli loro sono sempre e solo degli abbozzi, delle impressioni buttate giù, non quadri pensati e finiti; per loro è invece una rivoluzione che porta sulla tela il sentimento del vissuto, la percezione del momento, la coincidenza tra il soggetto pittore e il ‘motivo’ ripreso che si rivela pure nella mobilità del braccio, nella vibrazione dell’aria come della pittura. Non è più solo un vedere, è anche un sentire, un vivere l’attimo fuggente, un consuonare con lo spazio che ti circonda. Questo significa (e qui sta uno dei punti forti della loro modernità) dichiarare a piene lettere la legittimità della pittura come espressione dell’artista, oltre il naturalismo, oltre l’oggettività del mondo. Basti tornare a quel capolavoro di Monet che dà nome al movimento dove soggetto della pittura non è più tanto o solo ciò che gli occhi vedono e poi riproducono sulla tela, quanto il rapporto che si viene a stabilire tra il soggetto pittore e l’oggetto paesaggio; al punto che Monet arriverà poi fino al dissolvimento dell’immagine. Non la veduta, quindi, non la resa fotografica (per quanto la fotografia abbia dato un fondamentale contributo per lo studio della composizione e il taglio fotografico delle immagini, vedi Degas e Renoir) ma la sensazione, la percezione di ciò che si vede e sente. Da lì si può arrivare ai neoimpressionisti e divisionisti, ai Fauves e agli espressionisti, ai futuristi e forse ancor più su.
Con le loro otto rassegne, gli impressionisti non solo hanno aperto nuove strade per l’arte, hanno anche avviato nuove modalità di fruizione per l’arte: dimostrando che era possibile organizzare mostre in proprio, senza il sostegno delle istituzioni ufficiali, e contribuendo alla nascita delle prime gallerie gestite da privati come quella di Paul Durand Ruel, prima, e di Paul Guillame, poi.
© 2024 RMN-Grand Palais / Franck Raux/ Dist. Foto SCALA, Firenze
Auguste Renoir, Jeunes filles au piano