Lo hanno deciso l'artista e le curatrici: non si aprirà "sino a che non sarà pattuito un cessate il fuoco e non saranno liberati gli ostaggi"
Le porte del padiglione Israeliano restano chiuse: la tragedia del conflitto a Gaza e il destino degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas dopo l'attacco terroristico del 7 ottobre hanno portato l'artista e le curatrici a non aprire lo spazio israeliano alla 60ª esposizione internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, curata da Adriano Pedrosa.
La chiusura "sino a che non sarà pattuito un cessate il fuoco e non saranno liberati gli ostaggi" è stata decisa dall'artista Ruth Patir assieme a Mira Lapidot e Tamar Margalit. La scelta di non aprire il padiglione d'Israele è stata annunciata poco prima dell'apertura dei cancelli della Biennale, quest'anno intitolata "Stranieri ovunque". È stato anche affisso un cartello sulla vetrata, posizionato a due passi da quello degli Stati Uniti, nell'area dei Giardini. I tre hanno precisato nella nota che la decisione "non è quella di cancellare se stessi o la mostra" ma piuttosto di prendere posizione "in solidarietà con le famiglie degli ostaggi e la grande comunità in Israele che chiede un cambiamento".
"Come artista ed educatrice – ha sottolineato Ruth Patir –, sono fermamente contraria al boicottaggio culturale, ma ho una notevole difficoltà a presentare un progetto che parla di vulnerabilità della vita in un momento in cui non c’è rispetto per essa". Dalle vetrate del padiglione israeliano è possibile comunque vedere la video opera "Keening", mentre resta interdetta la visione dell'intera opera (M)Otherland. "Aspetta - hanno spiegato artista e curatori - il momento in cui i cuori potranno ancora essere aperti all'arte". Mira Lapidot e Tamar Margalit hanno anche evidenziato che sono passati sette mesi dall'attacco di Hamas e dall'inizio della guerra a Gaza e non si vedono segnali di fine, solo la promessa di dolore e devastazione. Secondo i due, l'arte può aspettare, ma le persone che vivono l'inferno non possono.