Al Museo comunale d’arte moderna di Ascona la prima retrospettiva svizzera dedicata a Nanda Vigo: ‘Alfabeto Cosmogonico’. Fino al 25 giugno.
“A cosa mi ispiro? Alla luce. La luce è determinante per le forme, per gli oggetti, per un’ambientazione totale. La luce va e non ha dimensione, e si può viaggiare molto lontano”. Perché la luce “è protagonista non solo dello spazio, ma di noi stessi”.
Basterebbero queste poche righe per sintetizzare la base concettuale di Nanda Vigo. Entrando in una delle sue opere immersive – come può essere un ‘Ambiente Cronotopico’ –, la luce (artificiale) rifratta decostruisce spazio e forme per creare illusioni prospettiche sempre nuove, sempre diverse. Proiettando verso nuovi luoghi.
© Ph. Ilvio Gallo, Courtesy Fondazione Sozzani
Ambiente Cronotopico, Nanda Vigo, 1968-2021
Fra le figure più significative dell’avanguardia degli anni Sessanta, Nanda Vigo (1936-2020) è la protagonista della prima retrospettiva svizzera dedicatale dal Museo comunale d’arte moderna di Ascona intitolata ‘Alfabeto Cosmogonico’. Curata dal critico d’arte Alberto Fiz, la suggestiva esposizione è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Nanda Vigo di Milano e sarà in essere fino al prossimo 25 giugno.
Innegabile è la passione travolgente di Vigo per la luce, elemento fondante di tutta la sua indagine e strumento primario e primigenio del suo linguaggio espressivo. Esplorando e integrando le arti, Nanda Vigo indaga la relazione che intercorre fra luce e spazio, attraverso l’uso di materiali industriali e semilavorati, come vetro smerigliato specchiante, acciaio, alluminio e luce, soprattutto quella artificiale come il neon. Concetto e materiali compongono lavori che alterano la percezione, provocando uno straniamento che sfonda lo spazio visibile: le opere di Vigo divengono “filtri visivi della realtà” che aprono a “impressioni inedite e impensate. Un’esplorazione dello spazio attraverso la luce”, per dirla ancora con le sue parole.
“Identificazione: incerta. Architetto: riduttivo. Artista: riduttivo. Designer: riduttivo. Pioneer: maybe. Anyway: Nanda Vigo”. L’autodefinizione è laconica, ma la dice lunga sull’identità totalizzante di Nanda (al secolo Fernanda Enrica Leonia) Vigo. Sin dalla tenera età dimostra interesse per l’arte, basti pensare che fra gli amici di famiglia che giravano per casa c’era Filippo De Pisis. La folgorazione arriva quando ha otto anni: è a Como e vede la Casa del Fascio di Giuseppe Terragni, “ho scoperto la bellezza e la luce”, si legge in un’intervista.
Riavvolgiamo il nastro. Nata a Milano il 14 novembre del Trentasei, Vigo – dopo il liceo artistico – si iscrive all’École polytechnique fédérale di Losanna, dove si laurea alla fine degli anni Cinquanta; parte alla volta degli Stati Uniti per uno stage a San Francisco. È sempre stato il suo sogno, ma delusa dal poco spazio lasciato agli stagisti in fatto di creatività decide di rientrare nella città natía e aprire il suo studio. È il 1959: anno decisivo sotto diversi punti di vista. Oltre al proprio studio, Vigo inizia a frequentare quello di Lucio Fontana e la Galleria Azimut, fondata da Enrico Castellani e Piero Manzoni, che diverrà suo compagno di vita (almeno fino alla precoce morte dell’autore di ‘Merda d’artista’ nel 1963), anni in cui lavora alla realizzazione della ‘Zero House’ a Milano, terminata nel 1962. Dal punto di vista della ricerca personale, Vigo incomincia a sviluppare il concetto di cronotopia, elaborando man mano un metodo di lavoro sul confine fra architettura, arte e design: sarà del 1964 il ‘Manifesto Cronotopico’, testo in cui fissa la base concettuale del suo operare.
© ph. Fabrizio Garghetti, Courtesy Archivio Nanda Vigo Milano
Nanda Vigo con Lucio Fontana alla Galleria Vinciana, 1964
Tuttavia i tempi non sono buoni per l’affermazione delle donne in campo artistico – neppure nel contesto avanguardista di Milano –, un ambito allora prettamente maschile o meglio maschilista. Basti pensare che al suo grande amore (“il Pierino”), come da lei stessa affermato in un’intervista, dava fastidio che facesse l’artista: “Diceva «non siamo la famiglia Curie». È stato molto pesante, però ero follemente innamorata di Piero (…) e cercavo di adeguarmi anche se non ero molto contenta. ”.
Andando oltre la questione di genere, gli anni Sessanta e Settanta sono quelli del boom del design italiano. Sul piano della creazione artistica, si sente la necessità di rinnovare il concetto stesso di arte, lasciando indietro il passato, rinnegandolo. Si formano gruppi d’avanguardia indipendenti dalla critica e centrale per Vigo è l’incontro con i componenti del movimento collettivo europeo Gruppo Zero.
Fra le personalità del mondo dell’arte determinanti per il suo percorso va ancora citato Gio’ Ponti (“l’eclettico”: il solo che pratica l’integrazione delle arti), con cui collabora fra il ’65 e il ’68 alla realizzazione della casa ‘Lo scarabeo sotto la foglia’ a Malo, in provincia di Vicenza. Nel 1971, Vigo realizza uno dei suoi progetti più celebri per la Casa Museo Remo Brindisi a Lido di Spina (Ferrara). Facendo ancora un balzo in avanti, negli anni Settanta crea la serie di opere dal titolo ‘Trigger of the Space’, mentre nel 1980 realizza ‘Alfabeto Cosmogonico’. Degli anni Duemila sono le opere più trascendentali ‘Genesis’, ‘Deep Space’ e ‘Galactica Sky’.
Nanda Vigo muore nella sua Milano il 16 maggio 2020.
Soffermandoci ancora sul suo lavoro, l’attività espositiva di Vigo è intensa per tutto l’arco della sua carriera: la prima personale è del 1962 e la prima collettiva del 1964, per un totale di circa quattrocento esposizioni. Se non bastasse il cospicuo numero di mostre a testimoniare la sua unicità come artista, si potrebbero elencare alcuni premi vinti negli anni: del 1971 è il New York Award for Industrial Design per lo sviluppo delle lampade (‘Golden Gate’). Nel 1976 vince il primo Premio St. Gobain per il design del vetro. Postumo è il XXVI Compasso d’Oro alla Carriera. Inoltre dal 2013, il Ministero degli Affari esteri italiano annovera nella sua Collezione una serie di opere della “signora della luce”.
© Archivio Nanda Vigo Milano
Mobile Cronotopo, Nanda Vigo, 1973, Driade, foto di Laura Salvati
L’allestimento di Ascona abita i due piani del Museo e ha fra le sue intenzioni quella di raccontare ai visitatori l’affascinante percorso dell’artista: la quarantina di opere proposte sono suddivise per temi e, temporalmente, si collocano fra la fine degli anni Cinquanta e l’altro ieri, perché Vigo è stata attiva fino agli anni Duemila. La mostra analizza le tappe salienti del cammino quarantennale dell’artista milanese. Sala dopo sala, ci si imbatte nei progetti per il Monumento per i morti del Vajont e le Torri cimiteriali, nel celebre ‘Ambiente Cronotopico’ e nella ‘Parete Cronotopica’, per poi entrare in un tunnel con le “manifestazioni” dei ‘Deep Space’ e dei ‘Light Tree’. Salendo, ci si immerge nell’ambiente ‘Genesis Light’; sul versante design, sono esposti ‘Mobile Cronotopo’ e ‘Golden Gate’. Coronano l’esposizione, accompagnata da un catalogo bilingue, due totem luminosi ‘Goral’ e la proiezione di ‘Venerezia’, raro film realizzato da Vigo, impegnata in una performance in cui gli elementi della sua opera ‘Alfabeto Cosmogonico’ interagiscono con la Serenissima.
© Archivio Nanda Vigo, Milano
Nanda Vigo con Cronotopi, 1963, 40x40 cm, Spazio Fly Milano
Per approfondimenti consultare www.nandavigo.com, www.zerofoundation.de e www.museoascona.ch.