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La tensione del segno nell’opera di Donato Spreafico

La Galleria Job di Giubiasco propone una selezione di disegni del pittore bellinzonese esposta nella personale ‘Il ritmo del segno’. Fino al 25 maggio.

Spreafico nel suo atelier
(© Massimo Pacciorini)
20 maggio 2023
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“L’arte è tensione che cerca nella creazione una sorta di appagamento spirituale, e solo in questo modo resiste al mercantilismo o al materialismo generalizzati. Fare della pittura oggi non è tornare alla tradizione per recuperare cose che gli artisti che ci hanno preceduto hanno già espresso, è tornare all’arte per scoprire possibilità ancora nascoste e arricchire i propri mezzi cercando nuove vie per esprimere il tempo in cui viviamo”. Queste poche righe di Donato Spreafico cristallizzano, a modo di vedere di chi scrive, il manifesto del suo fare.

Una trentina di sue opere sono state selezionate per la personale ‘Il ritmo del segno’ allestita negli spazi della Galleria Job a Giubiasco (via Borghetto 8; per gli orari: www.fotolabojob.ch), in essere fino al prossimo 25 maggio. L’esposizione dei disegni (fra opere a sé stanti e studi o bozzetti per tele) è accompagnata da un agile catalogo, arricchito dei testi della storica dell’arte Maria Will e del giornalista Michele Fazioli. Al centro dell’esposizione v’è il tema del disegno che, andando oltre l’elemento di studio, in Spreafico, è “una costante dal primato assoluto”, scrive Maria Will aggiungendo che esso è incaricato di “dare l’impalcatura all’opera, intridendo di sé la pittura stessa”. Ed è lì, fra pittura e disegno, che “si incardina l’unicità del tratto espressivo di Spreafico”, detto ancora con le parole di Will.


© Donato Spreafico
‘Menhir’ 1977, carboncino su carta

Di tovaglie bianche, fabbriche e musei

Visitando quei locali, ho incontrato Spreafico con cui ho scambiato quattro chiacchiere sul suo percorso artistico. Nato a Bellinzona nel 1938, il pittore si è formato in belle arti all’Accademia di Brera, a Milano, dove ha studiato con Gianfilippo Usellini e Guido Ballo. Si diploma nel 1965 con una tesi sull’opera grafica dell’artista surrealista Max Ernst. Dopo gli anni dell’accademia, continua il suo percorso formativo compiendo diversi viaggi in numerose località alla scoperta di antiche civiltà (Italia, Grecia, Egitto, America centrale, Cina tanto per citarne alcune) e dei maestri della pittura passati e contemporanei (Europa e Stati Uniti). La prima esposizione personale è inaugurata alla Galleria Mosaico (fondata da Gino Macconi) di Chiasso nel 1970. A quella ne seguiranno altre, soprattutto in Svizzera e in Italia. Fin dalla metà degli anni Sessanta, Spreafico partecipa anche a mostre collettive.

Alla domanda su come sia diventato pittore, risponde partendo da lontano, andando con la mente a un ricordo infantile: «Mia madre era ricamatrice e prima di cucire disegnava sulla tovaglia bianca. Da quel bianco, ricamando, nasceva qualcosa e per me questa era una sorta di magia». Nonostante la sensibilità giovanile per la pittura, ancora adolescente frequenta la Scuola arti e mestieri per diventare tecnico meccanico e, una volta finita la formazione, parte alla volta di Zurigo per un’esperienza in fabbrica. Ma, in tre mesi, «mi sono accorto che non era il mio mestiere». A Zurigo, ricorda ancora, abita a poche centinaia di metri dal Kunsthaus e dalla zona delle gallerie d’arte, frequentazioni che risvegliano «la passione messa da parte a quindici anni». La decisione è perciò presa: si prepara da solo per affrontare gli esami di ammissione a Brera, che supera. In famiglia, la decisione di cambiare strada è accettata alla condizione che Donato, per il primo anno di belle arti, si arrangi. «In fabbrica avrei dovuto fermarmi tre mesi, ma ci sono rimasto tre anni mettendo da parte dei soldi». Il via libera della famiglia arriva però dopo che il figlio promette, una volta diplomatosi, di dedicarsi all’insegnamento. Anticipazione: la promessa ai genitori, Donato Spreafico, la mantiene, diventando docente alla scuola media di Giubiasco, dove abita dal 1978; occupazione che gli permette di essere autonomo e potersi concentrare sui suoi progetti personali.

Torniamo a Brera, attorno alla quale orbitano i ticinesi Renzo Ferrari, Cesare Lucchini, Samuele Gabai; gli italiani Franco Francese, Alfredo Chighine, Ennio Morlotti… Sono i primi anni Sessanta: «Un momento sorprendente dal punto di vista espositivo, soprattutto a Milano e Torino, da cui ho tratto nutrimento. Quelle mostre sono state una seconda scuola».


© Donato Spreafico
‘Menhir’ 2019, carboncino su carta

Natura, figurazione, astrazione

Nei disegni, così come nelle tele (almeno quelli osservati), la natura è fonte inesauribile per Spreafico: che sia marcata o anche solo abbozzata nelle sue linee primordiali, dai vegetali ai minerali, è punto di partenza. Una natura familiare e domestica cui torna dopo lo studio dei maestri del passato e dei suoi contemporanei: «Sono tornato ai ceppi degli esordi, quando ancora dovevo andare in accademia, ma rielaborandoli». Gli elementi naturali trascendono la loro oggettività per diventare «metafore della vita. Ecco perché una cipolla, non è mai una cipolla e i suoi germogli sono simbolo della volontà di reagire».

Alcuni saggi critici dedicati al suo lavoro menzionano poi il binomio figurazione-astrazione: mai abbandonata la prima, mai accolta interamente la seconda. Una ricerca in limine, che non è timore di abbandonarsi all’una o all’altra, ma una scelta ben precisa – maturata piano nel tempo – di restare lì, in quel punto di incontro fra due tensioni; altro concetto fondamentale nella ricerca espressiva del pittore. Si capisce allora come la figurazione fornisca una traccia, andando di là del didascalico, per incontrare lo sguardo dell’osservatore che legge l’opera e, appiccicandoci il proprio bagaglio esistenziale, la completa. Ma questo, in fondo, è proprio all’arte.


© Donato Spreafico
‘Menhir’ 2022, olio su tela