Da sabato 10 settembre, nel nucleo di Arogno si potrà visitare la mostra ’Na vita intréga, che dà valore alla memoria del passato
"La mía víta l’è stáia inscí: cambiaréss pòch o nagótt dal tütt". "Ma piaséva mía la scöla, mi séva cuntént da laurá". "Vöia da fann e un zicch d’alégría: l’è inscí che summ náia innánz". "Ma saréss piasüü stüdiá, ma ghéva mía da danée". "Cugnuséva nagótt d’áltru e alóra cára grázia véss cuntént da quéll ché ghéva". I nonni sono custodi di una lingua – che ha tutta una sua componente sociale ed è a perciò ricettacolo di usanze, mestieri, oggetti antichi (lo dice molto meglio Luigi Meneghello in Maredè, maredè) – e di una storia, fatta soprattutto di fatica e lavoro. Un bagaglio che rischia di andare perso, se non fosse per l’atto di resistenza di coloro che con iniziative di vario tipo provano a salvaguardarle. L’ho presa larga, ma il discorso sulla memoria è il nocciolo di ’Na vita intréga. Ritratti di arognesi; titolo della mostra allestita sulle facciate del nucleo del comune della Val Mara con le fotografie di Flavia Leuenberger Ceppi. La fotografa è stata coinvolta nel progetto della Commissione culturale del Municipio, che ha lo scopo di aggiungere nuovi contributi all’Archivio della Memoria (iniziato una decina di anni fa). «Un’iniziativa culturale e anche uno strumento per salvaguardare la nostra storia attraverso la raccolta di testimonianze orali, fotografie e documenti», ha chiarito Daniela Jeanmaire, membro della commissione.
L’esposizione, sbrighiamo le informazioni di servizio, sarà inaugurata sabato 10 settembre, al richiamo di «becchiamoci» alle 15 in Piàza Valécc (il riferimento è al becco dello stemma comunale) e sarà visitabile per circa un mese, fino al 9 ottobre prossimo.
«Il progetto fotografico è stato avviato circa due anni fa, poi però è stato rallentato dalla pandemia. Il lavoro si è fatto un po’ critico, perché gli anziani erano fra le categorie a rischio, quindi gli incontri per lungo tempo non sono stati possibili per le restrizioni», ha raccontato Flavia. Prima della realizzazione vera e propria, la Commissione culturale si è impegnata a prendere contatto con gli anziani nati prima del Quaranta (compreso) del secolo passato per spiegare il concetto del progetto e chiedere quindi adesione. «Le persone che ho conosciuto avevano voglia di aprirsi, avevano piacere nell’incontro», ha ricordato la fotografa. Insieme ai ritratti, il progetto prevede la raccolta di interviste, materiale prezioso per (ri)costituire la memoria di paese. «Non si tratta né di nostalgia né di celebrazione – ha subito messo in chiaro Daniela –. L’obiettivo è dare valore a ogni storia rispettando l’individualità, raccogliendo nel tempo le testimonianze, che andranno ad arricchire ulteriormente l’Archivio della Memoria. L’idea dei ritratti invece è piuttosto recente». All’inizio, s’era pensato di procedere sistematicamente: «Le foto sarebbero state scattate "a-catena-di-montaggio" in un set fotografico, uguale per tutti». Qui subentra il coronavirus che ha imposto un altro piano d’azione secondo cui ogni partecipante ha proposto il luogo in cui desiderava essere fotografato: «Spesso è avvenuto nelle case, nei giardini, nei loro luoghi familiari», le ha fatto eco Flavia. Un valore aggiunto che ha dato naturalezza e spontaneità.
Guardando oltre la mostra, si stanno progressivamente raccogliendo le interviste che, oltre a fornire materiali preziosi per la pubblicazione, verranno caricate nell’Archivio della Memoria. «Se per le foto non c’è un tema specifico, il contenuto dei colloqui verte su scuola e mestiere», ha quindi proseguito Daniela. A questa parte del progetto hanno partecipato anche gli ottuagenari che non hanno voluto farsi fotografare. In futuro, fotografie e narrazioni tratte dalle interviste saranno pubblicate in un volume, che corrisponde alla seconda fase dell’iniziativa. «Queste storie permetteranno di ricostruire l’epoca del conflitto e del dopoguerra». L’idea di base è contestualizzarle nel filo della storia con la maiuscola.
Fino agli ultimi decenni dell’Ottocento, si legge sul sito comunale, gli arognesi portarono avanti un’economia di sussistenza, che faceva sì che la comunità fosse autosufficiente. Arriva poi parte dell’industria orologiera e molte famiglie si specializzarono in quel campo. La doppia economia, agropastorale e industriale, determinò i rapporti sociali, politici, economici e transfrontalieri del paese. Oggi, Arogno conta mille anime, di queste quasi un’ottantina sono nate dal 1940 andando a ritroso, e quarantasei di loro hanno acconsentito ad aprire le loro case e farsi fotografare. Il formato è quadrato, «per ciascuno ho utilizzato una pellicola con dodici scatti a colori», ha specificato la fotografa. Gli anziani sono o un po’ schivi o sulle prime un po’ diffidenti, «per entrare in contatto, abbiamo infatti usato un approccio delicato. Dopo che la Commissione ha presentato loro il progetto e la mia figura, mi sono fatta avanti. Una volta fissati gli appuntamenti, sono iniziate le visite a casa. Avevano voglia di aprirsi» e l’assenza di un tema specifico ha dato grande libertà: «Le persone non si sono sentite nella condizione di dover mostrare qualcosa in particolare, mettersi in posa. Fare ritratti per me è sempre molto stimolante, soprattutto tornare a farli dopo il confinamento», ha confessato Flavia, che vive ad Arogno da tre anni.
Nata a metà anni Ottanta, Flavia, dopo la formazione allo Csia, ha lavorato per alcuni anni nel laboratorio di Adriano Heitmann, dopodiché si è lanciata nella professione come indipendente, viaggiando anche molto. L’avevo intervistata nel 2015 e come allora porta avanti i progetti commissionatile e quelli personali; come allora il suo interesse è raccontare, in punta di piedi, le persone attraverso ritratti a colori, andando alla ricerca dell’essenza (quasi una rivelazione della luce). Un lavoro portato avanti negli anni continuando a sperimentare con la fotografia analogica maneggiando una Rolleiflex, apparecchio utilizzato anche per questo progetto, il cui intento – nella sua interezza – è documentare, custodire e valorizzare il patrimonio storico intangibile, come lo sono le storie e le vicende narrate oralmente da chi ha vissuto finora otto decadi, attraversando i grandi cambiamenti sociali e non solo. Un atto doveroso e bello nei confronti della memoria individuale, ma soprattutto collettiva.
Dimenticavo, le citazioni in dialetto in attacco sono estrapolate dalle testimonianze raccolte dagli anziani arognesi che hanno preso parte all’iniziativa.
www.arogno.ch e www.flavia-leuenberger.ch.