Il Museo d’arte della Svizzera italiana a Lugano ospita fino al 13 novembre prossimo l’esposizione dell’artista belga ‘Poesie industriali’
«Alla fine mi folgorò lo spirito di inventare qualcosa di insincero e mi misi subito al lavoro». Troviamo questa citazione nel manuale dedicato da Denys Riout a ‘L’arte del ventesimo secolo’, in italiano presso Einaudi e riportata in lingua originale (più bella) a p. 46 del libro dedicato da Serena Carbone a ‘Marcel Broodthaers. Poetiche dell’ombra’, pubblicato dall’editore Mimesis.
Il Museo d’arte della Svizzera italiana (Masi) a Lugano, fino al prossimo 13 novembre, propone al pubblico di cultura italiana la mostra preparata dal Centro d’arte Wiels di Bruxelles, dedicata ai ‘Poèmes industriels’ di Marcel Broodthaers e adattata a Lugano da Francesca Benini. Mentre prendiamo atto dell’insistenza del museo a ospitare mostre prodotte altrove, possiamo apprezzare una proposta utile per capire aspetti di ciò che l’arte è nel nostro mondo, facendo tesoro di esperienze del passato. Concentrandosi su una produzione specifica e circoscritta dell’importante poeta e artista belga, la mostra ci aiuta a mettere a fuoco questioni indispensabili per capire cosa sia, di cosa consista e a cosa serva l’arte oggi. Fra queste abbiamo senz’altro il tema della nostra citazione iniziale: il ruolo della menzogna e della finzione che la cultura italiana ha visto esprimersi, tra le tante, nelle elaborazioni di Giorgio Manganelli e di Carmelo Bene.
La mostra luganese è supportata da uno scaffale ben articolato presso la libreria del museo, dal quale traggo due pubblicazioni di grande utilità: il testo di Serena Carbone già citato e il volumetto tradotto in italiano da Postmedia Books: ‘L’arte nell’era postmediale - l’esempio di Marcel Broodthaers’, di Rosalind Krauss.
Propongo questi riferimenti bibliografici convinto di quanto siano importanti per affrontare la complessità del lavoro di Broodthaers, offrendoci riferimenti storici, contestualizzazioni nella dinamica della produzione artistica del secolo scorso e strumenti concettuali utili. Il piacere e la gradevolezza (ma anche, per alcuni aspetti, la sgradevolezza atonale o distonale) del felice allestimento nel sotterraneo del museo possono così essere temprati in un sistema di senso, oltre a consentirci una reazione estemporanea o effimera, peraltro importanti.
Indugiamo pure un momento sull’allestimento negli spazi del Museo. Il risultato ci si presenta con una dimensione decisamente pop, cioè con una effervescenza di cromaticità di plastica; i poemi industriali sono prodotti attraverso la compressione di placche di plastica in uno stampo che in francese si chiama moule così come la cozza e Marcel Broodthaers si definiva un "roi des moules". Tale esito pop ci rallegra e contraddice cozzando (viva il gioco semantico) con il radicalismo concettuale del suo impianto poetico.
Se, pertanto, possiamo limitarci a fruire di un livello superficiale del lavoro e beneficiare della atmosfera surrealisticamente pop e giocosamente ironica, grazie al supporto dei due libri possiamo capire come quella contraddizione sia una caratteristica strutturale del lavoro di Broodthaers e possa essere messa in relazione con la situazione geografica, storica e tematica in cui l’artista lo ha impostato e sviluppato.
Quando, per esempio, vediamo in una teca come alcuni righi musicali sono popolati da segni e macchie da cui riusciamo a indurre l’idea di bordello piuttosto che quella di spartito, possiamo divertirci e sorridere al titolo (Moderato, Allegro non troppo) ma anche considerare quanto lo scontro tra retaggi atonali e impulsi di nuove melodicità sia stato importante nella dinamica artistica della storia recente: basti pensare all’esperienza dei King Crimson e alle rispettive sofisticherie tecniche, melodie ammalianti, irriverenze e ironie.
L’evocazione musicale ci serve per accogliere il concetto di postmedialità articolato da Rosalind Krauss. Broodthaers non è un musicista ma ha bisogno di trasbordare e trasgredire il confine tra generi artistici per sviluppare la propria poetica.
I libri di Rosalind Krauss e di Serena Carbone enucleano una serie di concetti, temi, riferimenti ed esigenze che ci aiutano a rivivere il lavoro artistico, ad affrontarne il senso, la portata, le contraddizioni e i rischi, questioni rispetto alle quali Marcel Broodthaers ha mostrato consapevolezza e ha cercato di giocare, utilizzando la propria cultura, l’esperienza accumulata con il lavoro e l’ironia.
Tutto ciò è importante poi per tentare di orientarci nell’insidioso paesaggio contemporaneo, dove spesso troviamo scimmiottamenti di esperienze seminali come quella in questione.
Così, a fronte di Pense-bête, con la quale Marcel Broodthaers ingessa alcune sue presunte produzioni poetiche, senza farci vedere il contenuto dei libri messi uno accanto all’altro, abbiamo anni dopo incontrato il sedicente artista che si fa attribuire una laurea in occasione della quale si presenta con un braccio vistosamente e inutilmente ingessato e conseguendo il risultato di una misera figura da stupido. E mentre Broodthaers prendeva i nomi dei grandi miti della pittura ottocentesca e li trasferiva in ambito meramente testuale, sottoponendo a uno sforzo strutturale l’asse semantico-semiotico che collega il produttore dell’opera al fruitore e lavorando sul potenziale generato dal processo di immaginificazione della parola e di spazializzazione del testo, oggi assistiamo alla vertenza legale per plagio nei confronti di chi, saccheggiando biecamente l’opera altrui, in nome di un presunto cinismo poetico, la riproduce, o meglio la fa riprodurre, tale quale.
Non avendo con questo testo scritto niente sul complesso, importante e seminale lavoro di Marcel Broodthaers, spero di essere riuscito a rendergli uno specifico omaggio al quale aggiungo che, se il suo lavoro affronta questioni dell’arte in modi che sembrano chiudere la possibilità di ulteriori forme di azione artistica, la questione resta, per fortuna, affatto irrisolta e tutt’oggi possiamo confrontarci con pittura, scultura, fotografia, intermedialità eccetera straricche di senso, anche grazie al contributo del nostro lirico cozzatore.
Info: www.masilugano.ch.
Opera in esposizione