L’illustratrice ucraina ha raccolto sentimenti ed emozioni e li ha trasposti su un taccuino. Quelle pagine abbozzate sono diventate ‘Diario di guerra’
"Ho deciso di disegnare. Che rimanga almeno un diario per documentare". Il virgolettato è uno stralcio da ‘Diario di guerra’ (Caissa Italia Editore, maggio 2022), fumetto di Olga Grebennik, che si è servita di una matita e un taccuino per testimoniare otto giorni e otto notti trascorsi nei sotterranei di una dimora di un quartiere residenziale di Kharkiv. Un racconto in immagini per dire no alla guerra, che in poco tempo è stato tradotto in diverse lingue.
Scritta alla spiccia, la pubblicazione è la storia di una famiglia durante i primi giorni di guerra – cui segue la fuga –, narrata da una dei suoi componenti: Olga Grebennik, nata a metà anni Ottanta a Kharkiv, dove ha vissuto con i suoi familiari fino a otto giorni dopo lo scoppio del conflitto, iniziato con l’invasione russa la mattina del 24 febbraio scorso.
Breve nota biografica: Olga è sposata con l’artista Sergej; insieme hanno due figli, Fëdor di 9 anni e Vera di 4; fanno parte del nucleo la nonna e Mikki, il cane. L’artista trentacinquenne, di madrelingua russa (come molti ucraini del resto), è laureata in architettura, ma dal 2015 lavora come illustratrice e ha pubblicato oltre una quindicina di libri per bambini venduti in più di venti Paesi, aggiudicandosi anche il premio internazionale ‘Image of the Book’.
Prima di quel dannato 24 febbraio, la vita familiare scorreva tranquilla, Olga disegnava, illustrava e scriveva libri per bambini, i suoi figli imparavano le arti e il marito realizzava le sue opere. Avevano "mille piani e mille sogni". La notte prima dell’invasione, scrive Grebennik nelle pagine introduttive del libro, "ci siamo addormentati sazi e felici". Poi le esplosioni alle 5 del mattino catapultano la sua famiglia, un paese intero di famiglie, nel buio. Presente e futuro sono andati in frantumi.
"Ogni sera alle undici cominciano a volare gli aerei. È una lotteria o meglio una roulette russa". "Ho subito scritto sulle braccia dei bambini i loro nomi, le date di nascita e il numero di telefono". Allo scoppio degli attacchi – smarrita – la famiglia si rifugia nei sotterranei illuminati a malapena, con la sabbia che rende "difficile il respiro", il soffitto basso che opprime. Vi trascorrerà diverse ore. Disegnare e scrivere per Olga diventano operazioni salvifiche, un filo cui rimanere attaccati. "Ora so per certo che c’è la guerra e ci sono le persone. La prima non tiene conto delle seconde".
Al nono giorno, in un vortice di pensieri incerti, l’illustratrice con marito, figli e cane, parte in direzione ovest. I viaggi sono difficoltosi: pochi taxi, poco carburante. La prima tappa dell’esodo è Leopoli, dove la famiglia è accolta da "perfetti sconosciuti". Olga, Fëdor e Vera si separano da Sergej, che non può valicare i confini a causa della legge marziale. Il papà tornerà a Kharkiv e inizierà a fare volontariato con la Croce Rossa. "Avevo con me solo i bambini, il cane, uno zaino sulle spalle e il talento per il disegno". Dopo Leopoli, i quattro profughi arrivano all’Hotel Mercure, nella capitale polacca. Qui trascorrono giorni "da favola", seppur sia difficile abituarcisi. Nel giro di poco tempo, Olga riceve un’offerta di aiuto e alloggio temporaneo in Bulgaria. La famigliola azzoppata parte alla volta di Sofia, vi arriva il 16 marzo, e trova casa in una cittadina: "Ma ogni notte sogno mio marito e la mia città. Mi sveglio e tutto si contorce dentro di me".
Nel suo taccuino, l’illustratrice descrive gli spazi vitali che di giorno in giorno si fanno più ristretti; abbozza scene di straordinaria quotidianità, azioni semplici che acquistano un significato vitale perché non sono più scontate, ricercando una normalità polverizzata. I sotterranei di casa, nonostante tutto, diventano un luogo sicuro, spazio di socialità e "strategia militare". Olga, nei suoi disegni, oltre a fermare su carta momenti familiari e comuni come colazioni, pranzi, giochi e conversazioni; documenta bambini, famiglie, nonni, animali: tutto quel microcosmo che dal giorno alla notte si è ritrovato in un pandemonio. Il volumetto si compone di una cinquantina di pagine abbozzate e annotate in cirillico: fotogrammi istantanei con segni secchi e frenetici, espressione di un bisogno impellente di buttare fuori.
Il racconto è minimo, essenziale e toccante, forte dell’incisività di uno stile telegrafico, veloce per forza di cose. La scrittura, nell’ambientazione sotterranea, è scarna; si fa più diffusa dal momento in cui Olga scappa con bambini e cane. La traduzione mantiene fede alla versione russofona dei toponimi, si legge così Kharkov e non Kharkiv, Lvov al posto di Leopoli e così via. Dal nostro canto, li abbiamo traslati per non cadere nella confusione.
Il disegno, a scriverlo è l’autrice stessa, è un esercizio che l’ha sempre aiutata ad affrontare le emozioni. Dai fogli non emergono allora solo paura, incertezza e angoscia, fra le pagine e le righe traspare altresì la speranza, nutrita da solidarietà e vicinanza umana. Il disegno diviene così terapia, un balsamo per sopravvivere alla distruzione, e il taccuino si trasforma in via di fuga per scappare dalla guerra.
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