Arte

WopArt, Jean-Marie Reynier messo su carta

A Lugano ‘per un tempo non troppo lungo’, portatovi dalla Galleria Aarlo u Viggo di Camille Eléonore Montandon, l’artista espone 14 variopinti suoi pezzi.

Dal 18 al 21 novembre al Centro Esposizioni
16 novembre 2021
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Artista, editore, curatore di libri d’arte. Jean-Marie Reynier, nato e cresciuto a Lugano ma decisamente vodese, giunge a WopArt (dal 18 al 21 novembre a Lugano, Centro Esposizioni) nella prima delle tre vesti, in nome e per conto della giovane Galleria Aarlo u Viggo di Camille Eléonore Montandon a Buchillon, sempre Canton Vaud. La collaborazione nata due anni fa, con Reynier curatore e artista, e l’identità grafica del nuovo spazio affidato alla compagna, porta in Ticino per affinità elettive e ‘cartacee’. «Camille, a conoscenza dei miei trascorsi luganesi, mi ha proposto una personale». Quattordici variopinti pezzi di una stessa serie, in due formati. «Non utilizzavo la tempera dai tempi dei corsi di tecniche pittoriche con Silvio Wassman, al Centro scolastico per le Industrie Artistiche (Csia)», spiega Reynier, dando il là al passo indietro.

Amore-odio

Prima il liceo artistico poi, direzione Brera, il cui periodo buio mescolato a quello cupo di Reynier ha aperto alla Svizzera francese. Quello che doveva essere uno stage di poche settimane in un atelier di stampa e incisione a Saint-Prex (Vd) è durato tre anni. Quindi le Belle Arti in studi teorici a Ginevra (Master Critical Curatorial Cybermedia Studies), continuando a lavorare ed esporre. Oggi Reynier vive a Perroy (Vd), pur mantenendo un forte legame con il Ticino, come dicono le 13 ricche pagine di biografia sul suo sito ufficiale. «Sono circa sei anni che non esponevo a Lugano. Mi è sembrata l’occasione perfetta. E anche la durata è perfetta, un tempo non troppo lungo», che non va oltre quello che l’artista chiama «limite di sopportabilità di Lugano».

La spiegazione non è nei 62mila abitanti in più di quelli di Perroy, ma «un’amore-odio che non nascondo. L’essere partito vent’anni fa da Lugano mi dà comunque sempre malinconia, ma quando arrivo qui mi confronto con la volontà di fare, sempre molto buona da parte di certe istituzioni, ma unita a una costante mancanza di alcuni tasselli che riguardano il mio campo. Si fa l’oggetto finale, ma non si pensa più in là, a cosa l’oggetto finale possa sostenere. Penso a una scuola di Belle Arti. Vedere avventure come il Sonnenstübe e lo Spazio Morel, luoghi veramente geniali e importanti, considerati come cose ‘da giovinastri’ mi provoca sempre dispiacere, perché sono realtà importantissime se si vuole avere un museo. Sono queste cose che mi hanno sempre bloccato, ma alla fine vedo gli sforzi delle persone che restano sul posto, che ritornano e mi danno sempre voglia di amare il luogo».

Carta, carte

Quattordici pezzi portati qui «con ironia», dice Reynier. «Stesso formato e tecnica, all’antica, in sé molto borghesi. Ma sono anche un omaggio ai miei professori, è la carta che usavo al Csia, le stesse tempere. Sono tornato a queste tecniche per dirmi che c’è qualcosa da ritrovare nelle radici». Si devono solo aggiungere i tre mesi d’ospedale, «un colpo duro» che lo ha portato a ritrovare le tecniche d’un tempo e argomenti a lui cari: «Mi piace parlare d’arte, ma avevo bisogno di dipingere per parlare di pittura»; laddove parlare di pittura significa «la collezione Albert Oehlen esposta al Masi, per esempio, a mio parere straordinaria. Ogni opera che Oehlen colleziona parla di una problematica pittorica che solo i pittori possono capire».

Reynier parla di «memoria, prospettiva, vanità, tecnica, carta», sintetizzando l’insieme di seni, paesaggi, crani, «riferimenti molto antichi, ma è tecnica, è parlare di pittura in sé». Della memoria luganese abbiamo detto, della prospettiva diciamo: «Ve n’è poca dappertutto, a livello di visione, a livello politico, ma il problema esiste anche a New York, non è soltanto luganese»; la vanità come «senso storico dell’arte, e cioè i crani, i Wunderkammer sui quali lavoro da anni, ma si espone anche per vanità, e per vivere». Anche delle tecniche abbiamo detto. Quanto alla carta, fulcro della fiera, parla il lavoro da editore: «Ne sono un appassionato a tutti i livelli, da tempo. Queste sono carte recenti, ma lavoro anche sul recupero di carte più rare, del Settecento e Ottocento. La carta per me è sempre stata fondamentale». Lugano e la carta: «Quando Camille ha scelto l’artista per WopArt, difficile che non portassero a me». www.aarlouviggo.com / www.aarlouviggo.com