Pandemia permettendo, l'esposizione dedicata dal Kunsthaus Zurich di Zurigo è fruibile fino al 14 febbraio 2021
Il Romanticismo è stato un movimento letterario, artistico, musicale, dalle evidenti implicazioni politiche, sviluppatosi in Germania e Inghilterra negli ultimi anni del Settecento e poi diffusosi in tutta Europa nel corso del primo ‘800. Il termine deriva dall'aggettivo “romantic” nel significato iniziale di romanzesco, fantasioso, irreale; sul finire del ‘700 finì per identificare una predisposizione dell’anima, un sentimento melanconico del vivere acuito dai grandi rivolgimenti che caratterizzarono quel tragico trapasso secolare: dal fallimento degli ideali libertari ed egalitari connessi alla rivoluzione francese, all’ascesa sprezzante e successiva caduta di Napoleone, alle lotte per l’indipendenza dei popoli e la nascita degli stati nazionali. Ne derivò una espressione d’arte fantastica e visionaria, emozionale, contrapposta sia alla prosaicità del reale che all’approccio sobrio, razionale del classicismo e dell’illuminismo. Alla solarità classica e alla fiducia illuministica nelle “magnifiche sorti e progressive” del genere umano si sostituirono il soggettivismo, l’esaltazione dei valori spirituali e sentimentali dei popoli e quindi anche del concetto di “Nazione” intesa come insieme di lingua, cultura e tradizioni – soprattutto quelli popolari – tipici di ogni stirpe.
L’esposizione che il Kunsthaus di Zurigo dedica a “Il Romanticismo in Svizzera” persegue un duplice obiettivo: per un verso vedere come si inserisce il Romanticismo Svizzero dentro il contesto europeo, mettendo in risalto legami e affinità con gli artisti dei Paesi vicini; dall’altro evidenziare peculiarità e contributi che l’arte svizzera ha saputo dare al Romanticismo europeo. Da qui la complessità della rassegna fondata su una notevole quantità di immagini con cui si documentano le varie, forse anche troppe, sezioni che ne costituiscono l’ossatura. Concentreremo pertanto la nostra attenzione su tre filoni di fondamentale importanza per il nostro Paese – ma non solo – nel periodo che va dal tardo illuminismo al primo romanticismo.
E cominceremo con un’opera emblematica che dà il tono alla rassegna zurighese: si tratta de Il silenzio, famoso quadro dipinto tra 1799 e il 1801, dal pittore zurighese Johann Heinrich Füssli (1741-1825) a lungo operante – e non è un caso – in Inghilterra. Rappresenta una figura femminile senza identità, avvolta in una veste chiara e seduta a terra con le gambe incrociate, i capelli sciolti, capo e braccia abbandonate come colpiti da grande spossatezza, rannicchiata su se stessa in un gesto di estrema chiusura. Tutt’attorno buio e silenzio. È l’immagine della inesorabile solitudine umana, inerme, impossibilitata financo a un dialogo di condivisione. Nel secolo dei lumi ecco che qualcuno si interessa alla notte, al buio, al profondo: quando le cose attorno si spengono e si rimane soli con se stessi. Da qui poi tutta la serie di dipinti paralleli sui tramonti del sole, sui notturni e il “chiaro di luna”, sulla immensità della notte e la piccolezza dell’uomo e quindi anche sulle rovine – specie del mondo classico – sui cimiteri, sulle grandi tragedie del tempo, ma anche sull’imponenza “sublime” delle cime alpine. A seguito degli studi scientifici di stampo illuministico sull’origine delle Alpi e la formazione dei ghiacciai, poco alla volta ma in maniera radicale, cambia infatti anche il modo di vedere e considerare la Svizzera con le sue montagne: da paese retrogrado e inospitale, abitato da gente primitiva e montanara che seppelliva i propri morti nei ghiacciai (così si raccontava) a paese idilliaco destinato a diventare luogo di villeggiature e di escursionismo per intellettuali artisti e ricchi borghesi che partivano da casa per il Grand Tour attraversando anche le vallate elvetiche. Un risultato questo in gran parte connesso alla pubblicazione di scritti letterari – da Rousseau a Goethe – che funzionarono da vera e propria propaganda e incentivarono non pochi appassionati a recarsi sui luoghi da loro descritti. E sarà la scoperta non solo del paesaggio idilliaco della Svizzera, ma anche delle sue eccelse vette, tra orridi, valanghe e furie delle natura, a confronto dei quali l’uomo misura tutta la sua piccolezza. Forse sta proprio qui il contributo più originale che la Svizzera ha dato al romanticismo europeo.
C’è infine la nascita e diffusione di una iconografia nazionale mitica. Nel momento in cui la Svizzera – come tante altre nazioni vicine – si apprestava a diventare una nazione che andasse oltre la storica rivalità dei cantoni, occorreva anche dar corpo a una iconografia comunitaria ed identitaria in cui specchiarsi e riconoscersi. Niente e nessuno incarnò meglio del Guglielmo Tell di Friedrich Schiller il sogno di libertà che scuoteva allora non solo la Svizzera ma l’intera Europa, tanto da farne Il protagonista più popolare di una iconografia nazionale che uscì anche dai confini nazionali: basti il nome di Gioacchino Rossini.