“Follia è avere un dono e dire ‘non vale niente’. E poi, quando scopri che valeva qualcosa, passare la vita a cercare di riaverlo, e scoprire che ciò che vuoi riavere è la vita”. Così un nero male in arnese apre i documentari ‘Humans of New York’ (visibili su Facebook, in inglese, con sottotitoli in italiano).
L'ideatore, Brandon Stanton, operatore di borsa licenziato dalla sua società, ha invece pensato bene di approfittarne per andare dietro al suo, di dono: si è comprato una macchina fotografica, si è trasferito a New York , e si è messo a immortalare gente che fermava per strada. Ne è nato uno dei progetti fotografici più seguiti – sempre via Facebook – nel mondo intero. Una galleria di ritratti di quella che Tony Judt definì “l’unica vera città-mondo”.
Ora Stanton supera le istantanee che hanno già riempito, oltre ai social, due grandi libri di quest’inizio secolo (‘Humans of New York’ e il più narrativo ‘Humans of New York: Stories’), montando in puntate i video che nel frattempo ha girato. La prosecuzione con altri mezzi dello stesso inseguimento: quello alla vita, a NY e in generale. Entrando in punta di piedi nei destini di ognuno, senza giudicarli.
C’è il padre di un bimbo disabile, la donna abbandonata dal marito che ha piantato una staccionata attorno all’albero del comune (“ma faccio fatica a tenerla su, come la mia vita”). Il veterano che preferirebbe “tornare sul campo di battaglia” piuttosto che a casa. Ragazzine arabe che vorrebbero tingersi i capelli di blu, ma sotto il velo. Donne malate che si rammaricano di dover morire prima del marito, sbucciato dall’Alzheimer. Persone masticate, con un brillante futuro dietro alle spalle. Ma anche la bambina che dice del suo amichetto, “quando avrà sette anni, allora sì che saremo una coppia". Tutti ripresi dal profilo della speranza. Come il barbone che biascica: “Spero di morire su una panchina come questa; e che verranno gli angeli, a riportarmi a casa”.