Come nasce un evergreen? Quale strano algoritmo trasforma una canzone in una preghiera, capace di resistere all'usura del tempo e rimbalzare di generazione in generazione? Cosa ci fa cantare “guerriero di carta igienica” come fosse la normalità e dedicarci reciprocamente dei musicali 'ti amo', dimenticandoci che nel testo si intrecciano le vicende di lui, lei e l'altro, nel più classico dei pasticci amorosi?
Abbiamo chiesto a Umberto Tozzi, dal vivo a Lugano il prossimo 14 maggio (Palazzo dei Congressi, ore 20.30, www.ticketcorner.ch), come si scrive la canzone senza tempo. Lo abbiamo fatto partendo proprio da “Ti amo”, brano del quale cade quest'anno il quarantennale, chiave di volta della carriera di uno che sino ad allora aveva scritto e suonato per altri (dicesi anche 'gavetta'). Gli chiediamo cos'è cambiato da quella canzone ad oggi e l'Umberto, sicuro che i suoi paragoni «non servono a niente», dice di sapere soltanto che «è stato un privilegio essere nato in un momento storico nel quale al mondo è successo di tutto, un'epoca in cui nascevano ogni settimana artisti inarrivabili». Il privilegio, aggiunge, è che «potrebbero passare altri cent'anni prima che si ripeta un evento naturale simile».
“Ti amo” nasce nell'Italia degli anni di piombo. «Non era un'epoca fantastica, c'erano parecchi casini, ma in Italia i casini non mancano mai», dice l'artista piemontese di un 1977 per lui tutt'altro che funesto, «musicalmente importantissimo, almeno da quando la canzone è andata oltre Chiasso per raggiungere tutta Europa». Alla domanda se, una volta scritta, abbia mai pensato “con questa sfondo...”, ci risponde che «no, questo no, quando scrivi non sai mai che fine farà il tuo brano. Sentivo che era forte, ma non avrei mai immaginato che potesse resistere tutto questo tempo, e rinascere un'altra volta...”. L'ultima resurrezione è il duetto con Anastacia, primo estratto di un nuovo album-raccolta (“40 anni che Ti amo”) che include anche due inediti (tra gli autori, Eros Ramazzotti). «Ci piaceva tanto l'idea» dice Tozzi parlando di Anastacia, artista «molto disponibile e contenta di fare questa cosa, che si è svolta in modo sereno e professionale». Così contenta che lo scorso marzo, con post dalla sua pagina social ufficiale, la bionda interprete di “I'm outta love” inneggiava ai riscontri europei del duetto su iTunes.
A proposito del segreto delle canzoni eterne (e del perché “Ti amo” sì e, per esempio, “Notte rosa” no, malgrado le recondite aspettative del tempo), il musicista sostiene che «chi fa questo mestiere cerca sempre qualcosa di nuovo, e a volte le cose nuove ti riescono e a volte no». Se proprio di segreto si vuole parlare, allora potrebbe stare nel «perseverare, perché solo inseguendo il nuovo si può creare qualcosa che resti nella storia». È questa la sintesi di una lunga riflessione che tocca anche John Lennon («diceva che il rock and roll l'avevano già fatto i Beatles, e quindi era inutile mettersi a rifare qualcosa di già sentito»). Prima di chiudersi con un lapalissiano «è tutto un bel discorso, ma non così semplice da mettere in pratica», l'autore torna per un attimo alla 'stella minore': «”Notte rosa” non era così dichiaratamente pop. Forse era un po' avanti per l'epoca, e per quanto fosse una bella canzone, di certo non era “Ti amo”, “Tu”, e nemmeno “Gloria”. Era una canzone un po' pretenziosa, perché fuori dal momento musicale di quel periodo in Italia. Non è stata capita, ma è stata scoperta molti anni dopo, e la cosa mi ha dato grande piacere».
Perseverare, si diceva. Gli chiediamo del discografico francese che nell'estate del '78 sosteneva che Umberto Tozzi non sarebbe andato oltre “Ti amo”. La risposta è l'intero aneddoto: «Manolo Diaz, un direttore artistico spagnolo che a quel tempo mi seguiva, aveva segnalato a questo tizio che “Tu” funzionava alla grande in Costa Azzurra, e che forse era il caso di invitarmi per un po' di promozione. Il discografico, che non era a Parigi in quei giorni, gli rispose con un telegramma, che poi fu incorniciato e messo nel corridoio della CBS. Diceva “questa canzone e questo artista non avranno mai futuro in Francia”».
La Francia, dunque, terra per la quale Tozzi è una sorta di Mastroianni della musica, celebrato da sempre. La conversazione passa dalle parti di Francis Cabrel, cantautore francese del quale l'omologo italiano (era il 2008) rivisitò il classico “Petite Marie”. In una delle sue canzoni (“Des gens formidables”), Cabrel si abbandona all'autocritica di chi almeno per una volta ha scritto “pour le commerce”. Quanto al mestiere, inteso come strategia, Tozzi sostiene si debba sempre «distinguere tra il calcolo e lo stile personale, perché è lo stile che permette di reggere nel tempo, di non fare la canzone da una stagione e poi sparire nel dimenticatoio». E a proposito di stile, aggiunge: «credo di avere dimostrato una personalità di scrittura, un'identità vocale, tutte concomitanze che hanno poco a che fare con la semplice strategia».
Il dialogo sfiora anche Gianluca, figlio manager in un rapporto professionale a suo modo raro. «È vero» dice Tozzi sr., «i padri manager sono di più. Questa cosa, io e mia moglie all'inizio non l'abbiamo vista di buon occhio, perché il mondo della musica come quello dell'arte in genere non è un ambiente fantastico. E poi, quando sei 'figlio di', le persone ti guardano in un altro modo. Ma Gianluca ha messo molte bocche a tacere e io sono contento per lui. E per me...». Ricordando il concerto a Lugano di una decina d'anni fa, si finisce per parlare di specchi d'acqua. La risposta del perché per vivere abbia scelto Monaco invece di Lugano arriva dal mare, elemento primario anche per uno come lui, nato in città. “Vengo da una delle molte famiglie torinesi che d'estate si riversavano sulle spiagge della Liguria”, racconta, “sono uno che quasi 22 anni fa ha scelto Monaco come stile di vita, un posto sicuro, nel quale puoi girare in smoking di mattina e non fai testo, perché nessuno ci fa caso».
Alla fine, così parlò Umberto Tozzi, uomo da 80 milioni di copie vendute, mentre dall'altro capo del filo attraversava la Francia. Termina qui il resoconto del nostro tentativo di carpirgli i segreti del mestiere, senza ovviamente cavare un ragno dal buco. Anche perché il segreto della canzone perfetta, l'Umberto, dice di non conoscerlo nemmeno lui: «puoi sempre provare a chiedere a McCartney come ha fatto a scrivere “Yesterday”», suggerisce, certo del fatto che anche Paul ci risponderebbe “non lo so...”.