Il Gran Consiglio dice no a un coinvolgimento attivo (anche solo marginale) dell'Amministrazione cantonale nei due progetti pilota ticinesi
Non sarà il Cantone a promuovere in maniera attiva la sperimentazione della cannabis a scopi ricreativi in Ticino. Nemmeno con un ruolo comprimario di sostegno e coordinamento – attraverso servizi già esistenti – ai due progetti privati che dovrebbero prendere il via a breve sul nostro territorio. Il Gran Consiglio ha deciso oggi di tenere l’amministrazione cantonale fuori dai giochi in attesa che siano le aziende ticinesi interessate, in collaborazione con l’Università di San Gallo e l’Università della Svizzera italiana, a portare avanti la sperimentazione. Progetti pilota però ancora in attesa del via libera definitivo da parte dell’Ufficio federale di sanità pubblica (Ufsp), che regola in maniera molto precisa la sperimentazione. Per la maggioranza del parlamento, che ha accolto la proposta di respingere la mozione del 2017 ‘Regolamentiamo la cannabis’ (46 sì, 35 no e 2 astenuti) come suggeriva il rapporto di maggioranza di Maurizio Agustoni (Centro) e Lara Filippini (Udc) e il Consiglio di Stato, c’è poi un altro un altro aspetto da considerare: in Svizzera hanno già preso avvio numerose sperimentazioni e alcune sono quasi arrivate alla conclusione. Non è quindi necessario che il Cantone si vada ad aggiungere. Anche perché la strada sembra tracciata e porta a dibattere la radice del tema: la regolamentazione della cannabis a scopi ricreativi sarà infatti con molta probabilità sottoposta al voto popolare a livello federale. Una votazione che potrebbe arrivare anche prima delle conclusioni dei progetti pilota ticinesi.
I dati raccolti attraverso le sperimentazioni servono infatti per prepararsi – autorità in primis – a un’eventuale regolamentazione. Un aspetto sul quale ha insistito il rapporto di minoranza redatto da Giulia Petralli (Verdi) e Danilo Forini (Ps). Per la minoranza del parlamento è infatti importante conoscere bene, attraverso analisi scientifiche, tutti i vantaggi e gli svantaggi che una legalizzazione comporta. Il Cantone non può quindi starsene a guardare e aspettare che siano gli altri a fare il lavoro. Anche perché, è stato ribadito più volte dai banchi della sinistra, il Ticino ha caratteristiche sociali, culturali e geografiche specifiche. Detto altrimenti: uno studio condotto a Zurigo, su cittadini zurighesi, potrebbe non rispecchiare quella che è la situazione a sud delle Alpi.
Il tema era sul tavolo della politica ticinese da tempo. La mozione ‘Regolamentiamo la cannabis’, come detto, era stata depositata dall’allora deputato del Partito socialista Carlo Lepori (poi ripresa da Laura Riget) nel 2017 e sottoscritta anche da deputati di Udc, Lega, Plr, Ppd (oggi Centro), Ps, Verdi e Montagna Viva. Quindi anche di partiti che oggi, a maggioranza, hanno sostenuto il rapporto che chiedeva di respingerla. La mozione è addirittura precedente alla modifica della legge federale sugli stupefacenti che, solo dal 2021, ha introdotto una deroga per permettere di condurre progetti pilota di sperimentazione limitati nel tempo e nello spazio. Progetti obbligati a sottostare a regole rigide imposte dall'Ufsp: le aziende o gli enti coinvolti possono occuparsi della distribuzione solo a volontari che fanno già uso regolare di cannabis e non rientrano in categorie ritenute a rischio, come ad esempio le donne incinte. Le università, invece, si occupano in maniera totalmente indipendente della ricerca.
«Negare una realtà non è mai la soluzione. Il proibizionismo ha fallito e servono dati per poter valutare un'eventuale regolamentazione», ha affermato Riget, seguita a ruota dal collega Forini: «Il Cantone dovrebbe farsi coordinatore, affiancando in maniera attiva i progetti con strumenti che già ci sono, come l'associazione Ingrado». Sfumature diverse e toni variegati tra le file di chi è ha votato no alla mozione. Per Agustoni «la sperimentazione non rientra tra i compiti dell'amministrazione cantonale». Secondo Sergio Morisoli «lo Stato non deve fare lo spacciatore».