I deputati Giuseppe Cotti (Centro) e Tiziano Zanetti (Plr) sollevano dubbi sulle Direttive contro i comportamenti inadeguati in ambito scolastico
Le direttive sui comportamenti inadeguati in ambito scolastico, più che uno strumento necessario, sono un costoso esercizio burocratico. Non solo, le sue definizioni vaghe potrebbero portare a un rischio di arbitrarietà nella loro interpretazione. Sono gli interrogativi che solleva un’interrogazione di Giuseppe Cotti (Centro) e Tiziano Zanetti (Plr). Perplessità che il deputato del Centro aveva già espresso, in qualità di segretario comunale di Brissago, lo scorso dicembre quando il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs) aveva deciso di estendere le direttive introdotte nel 2023 per le scuole cantonali anche agli istituti comunali.
“Sebbene queste direttive possano sembrare a prima vista un passo importante verso l’integrità degli allievi, sollevano diverse questioni critiche – scrivono i due deputati –. In particolare se si considera che gli strumenti per affrontare situazioni problematiche esistono già e si sono dimostrati generalmente sufficienti”. Tra quelli citati da Cotti e Zanetti ci sono il Codice penale, “che disciplina chiaramente reati quali la violenza fisica, psicologica o sessuale”, e la Legge sull’ordinamento degli impiegati dello Stato (Lord) che stabilisce le procedure amministrative. Insomma, “un quadro normativo solido per intervenire in caso di condotte inappropriate del personale scolastico”. Dove tali strumenti sono inefficaci, segnalano i due granconsiglieri, “il motivo è da ricondurre alla mancata applicazione da parte dei superiori diretti. Un problema che nessuna regolamentazione aggiuntiva potrebbe risolvere”. Regolamentazione aggiuntiva, contenuta nelle nuove direttive, che per Cotti e Zanetti rappresenta inoltre una scarsa fiducia nei professionisti del settore scolastico. “Sembra quasi che le derive comportamentali siano così diffuse da giustificarne la necessità. Questa percezione, tuttavia, è contraddetta dai numeri e dall’esperienza sul campo”.
Non solo inutili, ma pure dannose. L’interrogazione segnale un possibile effetto collaterale del testo emanato dal Decs. “Le direttive utilizzano definizioni generiche e poco circoscritte, come il linguaggio verbale o non verbale che potrebbe essere percepito come umiliante o atti capaci di degradare il clima d’istituto. Tali formulazioni – rimarcano Cotti e Zanetti – mancano di un ancoraggio a parametri oggettivi e verificabili, lasciando spazio a interpretazioni soggettive che potrebbero generare conflitti e disuguaglianze nell’applicazione”. Un esempio? “Un richiamo educativo fermo o un tono educativo critico diretto potrebbero essere erroneamente classificati come inadeguati. Anche il solo avvio di una procedura in questi casi avrebbe conseguenze sproporzionate sul personale scolastico coinvolto, compromettendo la serenità lavorativa e il clima educativo”.
Non da ultimo i due deputati segnalano che nuove procedure avrebbero un costo in termini economici e di risorse di personale. Motivo per cui viene chiesto al Consiglio di Stato se ritiene questo strumento proporzionato e non vessatorio. Viene poi domandato quali siano le basi scientifiche che giustificano questa scelta e quale sia il costo complessivo.