Sulla proposta di proibire ai minori di 16 anni l’accesso ai social, Lodi di Pro Juventute: ‘I no nell’educazione sono sempre esistiti, ma attenzione’
«I divieti nell’educazione sono sempre esistiti, producendo talvolta risultati positivi e altre volte negativi. Introdurre però un divieto punto e basta nell’utilizzo dei social comporta il rischio di generare l’effetto opposto». È con queste parole che Ilario Lodi, responsabile regionale di Pro Juventute, commenta i risultati di un sondaggio di 20 Minuten e Tamedia sull’introduzione di un’età minima legale di 16 anni per l’accesso alle piattaforme di social media come X, TikTok, Facebook e Instagram. Per la maggioranza degli svizzeri, stando all’indagine, si tratterebbe di una buona idea.
Più precisamente, il 78% degli intervistati si è detto ‘favorevole’ o ‘piuttosto favorevole’ all’introduzione di un’età minima. Il 17% si dichiara invece ‘contrario’ o ‘piuttosto contrario’. Nel dettaglio, il 76% degli uomini e l’81% delle donne sono in linea di principio a favore del blocco. Non solo. Come suggerisce il sondaggio, c’è un consenso su questo tema tra città, agglomerati urbani e campagne, così come tra le diverse fasce d’età. Anche i diversi livelli di istruzione non giocano un ruolo significativo nella sua accettazione. L’indagine si è conclusa lo scorso 21 novembre e ha visto la partecipazione di 13’215 persone in provenienza dalla Svizzera tedesca, dalla Romandia e dal Ticino.
A ciò va aggiunta l’approvazione di oggi da parte del parlamento australiano di una legge che vieta l’accesso ai siti di social network ai minori di 16 anni, una delle misure più severe al mondo in questo settore. Va però detto che i contorni esatti della sua applicazione rimangono poco chiari. Il testo non fornisce praticamente alcun dettaglio sulle modalità di applicazione e alcuni esperti hanno espresso dubbi sulla fattibilità tecnica del divieto. Comunque sia, l’entrata in vigore di questa nuova normativa sarà attentamente monitorata all’estero, poiché diversi Paesi stanno valutando l’implementazione di simili restrizioni. Il tema è dunque caldo.
Anche alle nostre latitudini, osserva Lodi, «è sicuramente una tematica che divide. Non sono di principio per l’introduzione di questo divieto, ma sta diventando sempre più necessario tematizzare la questione anche in questi termini». Il responsabile di Pro Juventute tiene quindi a fare qualche precisazione: «Su questo fronte – spiega – non si può considerare il tema del divieto senza averlo ben definito. Voglio dire, non stiamo parlando del divieto di aprire un locale fino all’una di mattina. Questo è un altro genere di divieto che entra nell’ambito educativo».
Essenziale insomma aprire una discussione molto approfondita al riguardo. «È oltretutto necessario – rimarca Lodi – tematizzare le questioni che portano ad aprire questa discussione. In altri termini bisogna interrogarsi sul perché si arrivi al punto di dover vietare l’utilizzo dei social ai giovani con meno di 16 anni». E illustra: «I valori, le relazioni, il proprio corpo, la bellezza, la giustizia sono tutti argomenti che trascendono le nuove tecnologie, ma che sono stati lasciati da parte, in balia dell’economia. Mondo economico che d’altronde fa quello che vuole, i social media sono delle imprese commerciali in fin dei conti». In questa direzione, genitori e scuola hanno sicuramente delle responsabilità. «Famiglie e docenti – afferma Lodi – hanno già gli strumenti per entrare nel merito di questi temi. Poi è vero, la scuola è sempre più sprovvista di risorse per fare la scuola, ma le persone per poter trattare questi temi ci sono».
I rischi di un divieto tout court non sono infatti trascurabili: se da un lato gli aspetti positivi, come la protezione della sfera privata e della salute mentale, sono evidenti, dall’altro accedere di nascosto ai social comporta tutta una serie di pericoli. Dal fronte politico, su questo è d’accordo anche il consigliere nazionale del Plr Alex Farinelli. In settembre Farinelli aveva chiesto al Consiglio federale come valutasse un possibile intervento in questo ambito. “I social media – scriveva il deputato – sono un tema controverso, se da un lato hanno consentito di esplorare nuove possibilità di comunicazione e interazione, dall’altro pongono non pochi interrogativi in particolare in merito all’effetto sui più giovani. Anche a livello di dipendenze, questi strumenti, sono analizzati, monitorati e in parte regolamentati”. Il governo federale aveva però optato per lo statu quo: “Molti social media – si legge nella risposta di Berna – definiscono un’età minima per l’utilizzo nelle loro condizioni d’uso. Ad esempio, per registrarsi su Facebook, TikTok o Instagram è necessario avere almeno 13 anni. In caso contrario, gli account possono essere cancellati”.
«Non è un tema facile da affrontare», dice Farinelli. E chiarisce: «La realtà dei social è relativamente nuova e in continuo mutamento. Paradossalmente oggi alcune piattaforme sono più utilizzate dagli adulti che dai giovani, come Facebook per esempio». Per il liberale radicale resta fondamentale non trattare queste questioni superficialmente. «È importante – nota – che se ne parli valutando quali possano essere le eventuali misure, senza però imbarcarsi in ‘pseudocrociate’ che possono anche venir mal tollerate dai cittadini. Un sondaggio – commenta riferendosi ai risultati dell’indagine di 20 Minuten Tamedia – dipende da molti fattori, e non per forza al momento della messa in pratica incontra il sostegno di tutti». Oltre a prendere in considerazione tutte le possibili implicazioni, secondo Farinelli «bisogna anche cercare di non creare il fascino del proibito. Il divieto crea talvolta anche la sfida».