Caso don Leo, Ministero pubblico e Curia si trincerano dietro a un ‘no comment’ in merito alle rivelazioni de ‘laRegione’. La politica invece freme
Bocche cucite in Procura, (quasi) cucite in Curia. Sulla clamorosa novità portata alla luce ieri da ‘laRegione’ riguardante il caso di don Rolando Leo – e cioè il fatto che il giovane, la cui denuncia al Ministero pubblico ha portato lo scorso 7 agosto all’arresto del religioso per atti sessuali con fanciulli, avesse già segnalato tre anni prima all’allora vescovo Valerio Lazzeri le attenzioni libidinose subite da parte del prete –, le autorità inquirenti ed ecclesiastiche non si esprimono. Entrambe giustificano il loro «no comment» con il fatto che c’è un’inchiesta penale in corso per fare piena luce sui fatti. La Curia in serata, tramite uno scarno comunicato stampa, afferma di essere “confidente che il lavoro della magistratura porterà gli elementi necessari per chiarire l’intera vicenda, che ci addolora profondamente”. Parla invece il mondo politico.
«Non mi stupisce certamente leggere che la Curia sapesse da tre anni degli atteggiamenti poco clericali di don Rolando Leo. I tentativi di voler lavare i panni tra le mura delle chiese sono stati ricorrenti negli ultimi decenni nel mondo religioso». Non usa giri di parole Giorgio Galusero, per quarantuno anni in Polizia cantonale dove ha ricoperto anche il ruolo di ufficiale. «Se corrisponde al vero che il vescovo Lazzeri era stato informato direttamente dalla vittima degli atteggiamenti inopportuni, e che anche un minorenne era stato oggetto di simili attenzioni da parte di don Leo, questo apre un nuovo capitolo veramente preoccupante. Soprattutto in ragione del fatto che al presbitero sono stati affidati nel frattempo sempre più incarichi e responsabilità nel contesto giovanile». Galusero, pochi giorni dopo l'arresto di don Rolando Leo, aveva già affermato che “ci si è assunti un rischio enorme a lasciare il prete in compagnia di ragazzi, ovvero possibile vittime”. E ora rincara: «Il rischio della reiterazione di questi odiosi comportamenti era evidente, perché allora mettere a rischio l'incolumità di altri adolescenti? La cosa che più mi rattrista è leggere che la vittima in questi anni sarebbe stata lasciata sola quando invece era assolutamente doverosa una presa a carico». Per l'ex deputato al Gran Consiglio che in qualità di investigatore si è occupato anche di casi molto importanti con quello del ‘sadico di Romont’, «questa triste vicenda che ha riguardato la Curia ticinese e i suoi sviluppi ripropongono con ancora più forza la necessità che anche per il clero deve essere introdotto l'obbligo di segnalazione all'autorità giudiziaria».
Una proposta messa nero su bianco dal Movimento per il socialismo (Mps) che, attraverso un'iniziativa parlamentare elaborata presentata nelle scorse settimane, chiede di modificare l'articolo 7 della Legge sulla Chiesa cattolica introducendo così l'obbligo di segnalazione alle autorità giudiziarie per “ogni reato perseguibile d'ufficio o sospetto di reato che concerne un ecclesiastico”. Una norma che, per il deputato Matteo Pronzini, «gli ultimi sviluppi rendono ancora più urgente questo obbligo. L'attuale situazione è insoddisfacente. Se ci fosse stato quanto da noi proposto, ovvero l'obbligo di segnalare possibili reati alle autorità, si sarebbe evitato di lasciare per anni il prete a contatto con i giovani. D'altra parte – aggiunge Pronzini – chiediamo semplicemente una reciprocità tra giustizia e Curia, visto che oggi il ministero pubblico deve informare in Vescovo ma così non è a parti invertite».
Iniziativa parlamentare elaborata che non è ancora arrivata sui tavoli della Commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’. Verrà attribuita, verosimilmente, durante la prossima seduta del Gran Consiglio in programma il 14 ottobre. «L’iniziativa tocca un tema sensibile e importante. Dovesse essere attribuita alla nostra commissione cercheremo di affrontarla il prima possibile. Valuteremo con gli altri commissari se dargli una certa priorità», dichiara il presidente della ‘Giustizia e diritti’ Paolo Caroni (Centro). Anche perché «ci sono degli spunti sicuramente interessanti. Ma alcuni elementi vanno soppesati con attenzione. Personalmente – continua Caroni – vedo problematico inserire una norma che vale solo per gli ecclesiastici. Sarebbe meglio magari allargare lo spettro». Per il presidente della commissione un’eventuale introduzione della norma sarebbe meglio se applicata a casi che riguardano minorenni. «Ritengo importante che un adulto abbia la possibilità di autodeterminarsi e di fare le sue scelte. Una vittima maggiorenne potrebbe infatti non voler riportare alla luce ricordi dolorosi. E questo stato d’animo, con un eventuale obbligo di segnalazione, potrebbe spingere una vittima a non confidarsi».