Lo evidenzia uno studio pubblicato dall’Ustat rivolto agli operatori sociosanitari. A Como mancano cinquecento infermieri, anche nelle case di riposo
Carico di lavoro a livello psicologico, relazioni all’interno della propria équipe, retribuzione, tempo da dedicare a sé stessi, possibilità di formazione continua e assenza di riconoscimento finanziario, sociale e politico. Questi gli aspetti più critici riscontrati dagli operatori attivi nel settore sociosanitario emersi da uno studio di Formas, l’associazione che si occupa della formazione e formazione continua per le professioni del secondario II, che ha svolto nel corso del 2022 e del 2023 un’indagine quantitativa e un complemento qualitativo rivolti alle persone che hanno concluso una formazione nel settore nei quattro anni precedenti.
Lo studio, pubblicato dall’Ustat, mette in evidenza che, “fra gli elementi che rendono attrattiva una determinata professione e che contribuiscono al mantenimento di professionisti”, le condizioni di lavoro giocano un ruolo centrale. Nella ricerca, viene chiarito, l’associazione si è concentrata in particolare sul carico di lavoro, sul salario, su relazioni e riconoscimento e su carriera e formazione. “L’ambito generalmente più problematico – si legge – è il salario, seguito da possibilità di carriera e carico di lavoro. Risultano al contrario piuttosto soddisfacenti riconoscimento e relazioni all’interno dell’équipe. Le possibilità di formazione continua sembrano invece dipendere in maniera più marcata dal tipo di profilo professionale”.
Sul grado di soddisfazione i fattori di genere ed età possono pure avere un’influenza. “Le principali differenze basate sul genere – spiega Formas – riguardano il salario, la carriera e il carico di lavoro”. E precisa: “La minor soddisfazione degli uomini rispetto a salario e carriera potrebbe essere attribuita a un loro eventuale ruolo di sostegno economico principale alla famiglia. Avendo una responsabilità economica nel proprio nucleo familiare è possibile che il salario sia una fonte di preoccupazione e quindi insoddisfazione maggiore per gli uomini rispetto a un eventuale salario complementare come può essere quello femminile in alcune tipologie di famiglia”. Non solo. “La diversità fra le note attribuite dalle donne e dagli uomini riguardo al carico di lavoro può essere spiegata o da un eventuale impiego a tempo pieno degli uomini contro un tempo parziale per le donne o dalle rappresentazioni consapevoli o meno di chi attribuisce i compiti all’interno del settore per cui i lavori più pesanti vengono assegnati agli uomini”.
Per quanto concerne il fattore età, lo studio mette in luce un grado di soddisfazione maggiore per la fascia d’età tra i 51 e i 55. “La fascia 56-60 – rileva Formas – risulta invece essere la più insoddisfatta, con valori fra i più bassi praticamente ovunque”. Per la fascia 51-55, ipotizza l’associazione, è probabile che “abbia conseguito, con gli anni di lavoro, consapevolezza e capacità di adattamento e negoziazione pur mantenendo una possibilità di avanzamento. Per la fascia 56-60 è possibile che la fine carriera porti a un bilancio senza prospettive di cambiamenti maggiori rispetto alle condizioni di lavoro”.
La permanenza nel settore può, secondo la ricerca, essere influenzata anche “dal rapporto fra tempo libero e tempo di lavoro”. Al riguardo, nota Formas, ci sarebbe “una certa insoddisfazione generale con pochi elementi che raggiungono la sufficienza. In particolare, il tempo da dedicare a sé stessi risulta critico per tutti i professionisti”. Ma anche. “La turnistica risulta complessivamente poco apprezzata, ciò è anche dovuto alla tipologia del settore che prevede almeno in parte degli orari spezzati e delle notti”.
A Como mancano cinquecento infermieri, duecento in più di quanti ne mancavano prima della pandemia. Negli ambienti sanitari lariani si incomincia a parlare di “rischio tracollo, con riduzioni sino al 20% delle degenze possibile”. Non sono solo gli ospedali lariani a essere sofferenti, ma anche le case di riposo per anziani. Questo perché gli infermieri (prima ancora dei camici bianchi) sono diventati sempre più ‘merce’ rara. E la causa, nella fascia di confine, va cercata anche (o soprattutto?) nella fuga in Canton Ticino.
Quanto sia difficile assumere infermieri lo prova il fatto che negli ultimi sei mesi l’Azienda sociosanitaria territoriale Lariana ha tentato (con scarso successo) di assumere 330 infermieri a tempo indeterminato. L’ex azienda ospedaliera ha appena bandito l’ennesimo concorso per assumere cento infermieri. Questa volta gli ospedali pubblici comaschi hanno unito le forze con tutti gli enti sanitari dell’area dell’Ats Insubria. Con ogni evidenza i precedenti concorsi pubblicati dall’ex azienda ospedaliera comasca non sono stati sufficienti. Quasi tutti gli infermieri (laureati in scienze infermieristiche) provenienti da fuori regione e provincia non hanno firmato. Per i più la maggiore difficoltà è trovare casa in affitto a Como. I costi sono alle stelle e l’offerta è quasi tutta votata al turismo. Per un monolocale mansardato si arrivano a spendere mille euro al mese, quando un infermiere parte da 1’600 euro di stipendio.
E dunque rieccoci con l’ennesimo concorso il cui esito sembra destinato a ripetere quello dei mesi scorsi. “La ricerca è destinata a essere continua – commenta Alessandro Micello, coordinatore della rappresentanza sindacale dell’Asst Lariana –. Non ci sono infermieri, servono incentivi e politiche di welfare per i sanitari. Questo è il terzo concorso in sei mesi”. Gli ordini e i sindacati che rappresentano gli infermieri sono dell’avviso che per ancora diversi anni bisognerà fare i conti con l’attuale carenza.