Il direttore del Dfe avverte sulle future trattative con l'Unione europea: ‘Proteggere salari e concorrenza, il Ticino ha peculiarità da riconoscere’
Era il 15 dicembre quando il Consiglio federale ha approvato il progetto di mandato negoziale con l’Unione europea con, all’interno, le linee guida da attuare nei negoziati che partiranno una volta che il parlamento le avrà approvate. Sempre il 15 dicembre, il tutto è stato trasmesso in consultazione ai Cantoni. Il Ticino sta elaborando la propria risposta, che sarà pubblicata prossimamente. ‘laRegione’ ha raggiunto il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta sull’ambito specifico e sensibile del mercato del lavoro.
Con ordine. Come ha recepito la ripresa della via negoziale con l’Ue?
È sicuramente positivo che le trattative riprendano perché in un quadro molto incerto come quello attuale se non si riesce a negoziare e dialogare con i propri vicini possono insorgere dei problemi. Per questo motivo è importante che si sia perlomeno riattivato il filo del dialogo e della possibilità di aprire nuove negoziazioni, dopo la caduta della bozza di Accordo quadro nel maggio 2021.
Le possibili conseguenze sul mondo del lavoro preoccupano, considerando che si tratta di un ambito delicatissimo in un cantone di frontiera come il Ticino. Quali principi sono inderogabili dal suo punto di vista?
Questo mandato negoziale tocca vari ambiti, come elettricità, salute o istruzione. Ma come dice lei è estremamente importante l’ambito del mercato del lavoro, tema molto sensibile nelle regioni di frontiera. In questo senso, occorre mettere l’accento sulle misure di accompagnamento. Se dovessero essere indebolite vi sarebbero delle conseguenze sul nostro mercato del lavoro, considerando che già oggi stanno mostrando i loro limiti. Bisognerà evitare che questi limiti diventino ancor più grandi a seguito delle nuove trattative. Si tratta di proteggere i salari, il mercato del lavoro e tutelare le nostre imprese e artigiani indigeni garantendo loro una concorrenza leale con quelle estere. Sono questi i principi inderogabili, anche nell’ambito dei negoziati.
Per quanto riguarda i salari e sempre il mondo del lavoro, su cosa altro è importante porre l’accento?
È positivo che si riconosca il principio di “stesso salario, per lo stesso lavoro, nello stesso luogo”. Ma occorre evidenziare che vi sono degli aspetti che fanno discutere, come la riduzione da otto a quattro giorni come termine di annuncio per i lavoratori distaccati. Pure inaccettabile è la ripresa del regolamento europeo sulle spese di trasferta che non sarebbero più riconosciute secondo il principio del Paese di esecuzione, ma di quello di provenienza dell’azienda. Quest’ultimo aspetto creerebbe un vantaggio concorrenziale per le ditte estere rispetto alle ditte locali che non può essere tollerato. Un altro aspetto da considerare è la necessità di disporre di misure di compensazione interne nel caso in cui vengano attivate misure che dovessero tradursi in un indebolimento del livello di protezione dei lavoratori distaccati a scapito dell’economia dei cantoni, come il Ticino, che sono già oggi come regioni di frontiera sotto pressione. È necessario che nel mandato negoziale sia espresso in maniera chiara e imprescindibile che l’attuale protezione dei salari e delle condizioni di lavoro siano salvaguardate.
Anche perché il contesto è già molto delicato…
Infatti. Queste trattative hanno luogo in un periodo dove lo stesso mercato del lavoro conosce profonde trasformazioni perché cambiano i modelli di riferimento, vi sono la digitalizzazione e l’evoluzione demografica che hanno degli effetti strutturali e che sono fonte di preoccupazione nei Paesi occidentali. Per la nostra realtà locale abbiamo introdotto negli scorsi anni il salario minimo che nel 2025, dopo l’approvazione del parlamento cantonale, arriverà alla soglia finale. Così come il nuovo accordo sui frontalieri e il rafforzamento del franco svizzero incidono sul mercato del lavoro. Sarà importante essere dinamici e ricettivi, e nell’ambito di queste negoziazioni avere sempre un occhio attento e vigile.
Portando a Berna esigenze fattuali e non capricci. Secondo lei ci sarà un orecchio disponibile all’ascolto dei problemi che vive il Ticino?
Sull’ascolto e la comprensione delle nostre peculiarità sicuramente vi è apertura, il problema lo si riscontra al momento in cui bisogna decidere. Quando si devono cambiare le regole del gioco il solo ascolto non è più sufficiente. Ci si scontra spesso con il concetto invalicabile che le regole del mercato del lavoro devono valere in maniera indifferenziata per tutto il territorio svizzero. Un principio che porta vantaggi, ma anche degli svantaggi in realtà come la nostra. Alcuni temi possono essere affrontati dal basso, ad esempio sempre più Cantoni si stanno dotando di un salario minimo malgrado non sia previsto dalla legislazione federale. Laddove emergono delle criticità, soluzioni regionali possono trovare spazio.