Imposte di circolazione, il presidente del Centro attacca: ‘Sulla formula per il 2024 il mio timore è che non si terrà conto della volontà popolare’
«Sul nuovo calcolo dell’imposta di circolazione temo che non si voglia rispettare la volontà popolare, e che qualcuno stia giocando sporco». Il presidente del Centro Fiorenzo Dadò torna alla carica sulle targhe e, dopo la vittoria alle urne dell’iniziativa popolare del fu Ppd lo scorso 30 ottobre che ha sancito l’entrata in vigore di una formula di calcolo basata sulle emissioni di CO2, guarda al futuro con preoccupazione. Un futuro da scrivere, perché si è sempre saputo che il calcolo deciso dal Gran Consiglio sulla nuova imposta approvata dal popolo sarebbe stato transitorio. «Ma coi diritti popolari non si scherza, e il popolo ha detto chiaramente che il ricavo non superi, a regime, l’ottantina di milioni, che non possa di principio eccedere i costi di costruzione e manutenzione delle strade e che, appunto, salvo una tassa base, dipenda esclusivamente dalle emissioni prodotte», rincara Dadò.
In che senso teme che qualcuno, leggasi il Consiglio di Stato e in particolare il Dipartimento istituzioni, stia giocando sporco?
Nel senso che può esserci la tentazione, come avviene adesso con i radar e altre furbate, di far cassetta sulle spalle degli automobilisti. Una tentazione molto forte, in particolare ora che le casse languono. E sino a oggi non abbiamo avuto dal governo alcuna rassicurazione che si voglia da un lato preservare la moratoria nei confronti delle auto immatricolate prima del 2009, come chiesto dall’iniziativa e da un atto parlamentare mio e di Marco Passalia inoltrata in maggio, dall’altro che si voglia rispettare la volontà popolare che ha decretato in modo chiaro quale dovrà essere l’imposta di circolazione per i prossimi anni. Transitoria, d’accordo, perché il calcolo è stato votato con la clausola dell’urgenza dal Gran Consiglio. Ma i principi sono chiari perché decisi dal popolo, perciò non possono essere sconfessati né come impianto, né come incasso finale.
La moratoria, però, nel testo votato dal popolo era di un anno. La richiesta di renderla permanente è venuta dopo.
Guardi, l’iniziativa originaria la prevedeva e la transitorietà è stata il frutto di un compromesso, con l’accordo di ridiscuterla, non di toglierla. In più, in un momento già difficile con l’aumento vertiginoso dei premi di cassa malati, dell’energia e del costo della vita in generale, sarebbe un ulteriore colpo basso per la popolazione, che noi non possiamo accettare. Questa moratoria, che ricordo vale per i veicoli più vecchi, serve per dare una mano a chi in questi anni non ha potuto permettersi di comprare un’auto più performante e, in particolare, parliamo della popolazione più anziana che fa già molta fatica. Se poi osserviamo il costo della benzina, è normale che in Ticino la paghiamo decine e decine di centesimi in più al litro rispetto a cantoni della Svizzera interna? Il Consiglio di Stato che fa per ovviare a questa ingiustizia?
Lei con il direttore del Di Norman Gobbi non ha risparmiato duelli anche a mezzo stampa sul tema imposte di circolazione. Ma Gobbi e la Lega in generale hanno sempre fatto bandiera dei diritti e della sovranità popolare, perché teme un ‘voltafaccia’?
Il popolo e la sovranità sono utilizzati a piacimento quando si tratta di racimolare voti per assumere posti di potere, una volta che ci si siede nella stanza dei bottoni, buona parte di quanto detto in passato non è più tenuto in considerazione. E, addirittura, come nel caso dei controlli radar, viene smentito clamorosamente, senza neppure arrossire. Visti i precedenti, non vorremmo ritrovarci ancora una volta a vedere bistrattata la tanto decantata volontà popolare.
Sulle targhe siete accusati di essere populisti.
Ma neanche per idea. Noi abbiamo raccolto le firme nel 2017, c’era tutto il tempo per tentare di collaborare e trovare una soluzione. Purtroppo ciò non è avvenuto, e si è dovuti ricorrere a maniere più forti. Ma se non avessimo fatto così oggi i ticinesi starebbero ancora pagando l’imposta di circolazione più cara di tutta la Svizzera. La nostra iniziativa non è perfetta ma almeno l’abbiamo portata nella media nazionale. Inoltre, non dimentichiamo che i ticinesi percepiscono il salario più basso della Svizzera mentre le imposte, i premi di cassa malati e altri costi sono invece tra i più alti. È un dato di fatto, non si tratta di fare i ‘piangina’ ma di essere realisti. Altro che populisti.
È chiaro però che con la manovra di rientro alle porte dei soldi andranno trovati da qualche parte, e tanti.
L’orientamento del mio partito è chiaro: il risanamento non deve avvenire sulle spalle di chi è già in difficoltà. E dirò di più: il mio partito, in Gran Consiglio, ha messo nero su bianco che per noi va fatta un’analisi seria e indipendente della spesa pubblica. Questo perché crediamo che ci sono buoni margini di miglioramento contro sprechi e doppioni. Non si può pensare di risanare le casse dello Stato in qualche mese andando a tagliare solo sui sussidi o aumentando le tasse causali, quelle di cui i cittadini a volte neanche si accorgono. Il risanamento va fatto in maniera responsabile, non con l’accetta.
In questo è ancora convinto che la Corte dei conti giocherebbe un ruolo importante? Perché il Consiglio di Stato da questo orecchio non ci sente molto.
La Corte dei conti è urgente e non è mai stata così attuale, anche l’audit sulla vicenda dell’ex funzionario del Dss lo dimostra. Ci vogliono un’analisi e un controllo sistematico sia della spesa, sia dei processi di funzionamento generale dell’Amministrazione cantonale. Troppi elementi ci fanno dire che abbiamo una macchina che potrebbe funzionare meglio ma che per alcuni aspetti è obsoleta, pesante e costosa. E obsoleta è anche la politica del personale, come emerso dall’audit dello studio ‘Troillet Meier Raetzo’ e ripreso dalla Commissione parlamentare della gestione nel suo rapporto. Ci aspettiamo che il governo agisca anche in questo senso.
Correva l’anno 2017 quando il fu Ppd e oggi Centro ha depositato alla Cancelleria, con oltre 12mila firme quando ne sarebbero bastate 7mila, l’iniziativa popolare ‘Per un’imposta di circolazione più giusta’. Il testo, primo firmatario il granconsigliere Marco Passalia, chiedeva un ricavo annuale che non superasse gli 80 milioni di franchi e di basarsi sull’entità delle emissioni di Co2 delle auto, fatta salva un’imposta di base minima. Cinque anni e molte, eufemisticamente intense, discussioni dopo, nel mese di giugno 2022 il dossier è approdato sui banchi del Gran Consiglio con ben tre rapporti commissionali. Dopo la bocciatura da parte del plenum di quello di maggioranza firmato da Centro, Lega e Udc che aderiva all’iniziativa, in votazione eventuale sono andati i due rapporti di minoranza. Quello del Plr, anch’esso poi bocciato, che riprendendo il messaggio del Consiglio di Stato fissava a 96 milioni il tetto massimo delle imposte, considerando per il computo oltre alle emissioni anche la massa a vuoto (kg) del veicolo. E quello di Ps e Verdi che alle richieste del Plr aggiungeva di integrare pure la potenza dell’automobile e di destinare parte dei 96 milioni al trasporto pubblico.
In parlamento, in un contesto sempre più teso, grazie a Centro, Lega e Udc che l’hanno sostenuto per evitare il ritorno in commissione e il rinvio del voto popolare, il rapporto della sinistra è stato accolto ed è quindi diventato controprogetto all’iniziativa. Si arriva quindi al 30 ottobre dell’anno scorso, quando in votazione popolare l’iniziativa del Centro ottiene il 60,3% dei consensi. Ma si è solo alla fine del primo atto dell’opera.
Perché comincia un nuovo valzer delle cifre, con il Consiglio di Stato che – dopo aver rifatto i calcoli – con i propri Decreti legislativi per correggere le disparità di trattamento derivanti dai due cicli di omologazione dei veicoli istituisce un moltiplicatore per far ‘tornare’ a 85 milioni di franchi il gettito. La risposta degli iniziativisti? Le barricate. In Gestione il presidente del Centro Fiorenzo Dadò assieme a Paolo Pamini (Udc) sottoscrive un rapporto che leva di mezzo il moltiplicatore. Non si trova alcuna maggioranza, e il Consiglio di Stato decide di ritirare i Decreti legislativi e di far entrare in vigore l’iniziativa come votata dal popolo, disparità di trattamento comprese. La porta che il 30 novembre sembrava sbarrata, piano piano si è riaperta. E si è arrivati al compromesso, ottenuto lavorando sull’esponente di calcolo, che, giovedì 15 dicembre 2022, con il via libera del Gran Consiglio ha chiuso il sipario sul secondo atto. Il terzo, quello del nuovo calcolo che il governo dovrà preparare per il 2024, è appena cominciato.