Uno studio della Commissione europea attesta il Ticino tra i leader pure in materia di ricerca. Vitta (Dfe): un’interessante dinamicità nel cantone
È l’immagine di un Ticino “leader nell’innovazione” quella che restituisce il ‘Regional Innovation Scoreboard’ (Ris), studio a cadenza biennale condotto dalla Commissione europea che valuta i risultati in materia di ricerca e innovazione di 239 regioni del continente. L’indagine non analizza i singoli settori, ma una serie di indicatori – come ad esempio le condizioni quadro, i finanziamenti, le attività innovative – con l’obiettivo di fornire una panoramica generale. Dal rapporto 2023 emerge che il nostro cantone si classifica nei primi dieci sistemi dell’innovazione a livello europeo e al secondo posto, dopo Zurigo, a livello svizzero.
Il Sud delle Alpi, in particolare, risulta ai vertici della graduatoria nella Confederazione per la percentuale di piccole-medie imprese (Pmi) che hanno introdotto un’innovazione di processo o di prodotto, e al secondo posto per la registrazione di marchi e per l’incidenza delle vendite di prodotti innovativi sul fatturato. «Si tratta di indicatori che riflettono un tessuto economico caratterizzato da un’interessante dinamicità anche e soprattutto delle piccole-medie imprese – commenta il direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe) Christian Vitta –. Al giorno d’oggi orientarsi verso l’innovazione può voler dire fare la differenza e questo studio dimostra che le realtà attive nel nostro cantone hanno saputo cogliere tale potenzialità». Con il consigliere di Stato approfondiamo il tema.
Nell’analisi non vengono menzionati i settori con maggior fermento per quanto riguarda l’innovazione nel nostro cantone. Quali sono?
Tra gli ambiti più orientati al futuro in cui l’innovazione trova maggior terreno fertile ci sono le scienze della vita, la meccanica elettronica, la tecnologia dell’informazione e della comunicazione, per fare qualche esempio. Fra quelli emergenti, inoltre, troviamo il lifestyle tech che riguarda tecnologie applicate a vari settori che possono andare dal design, all’alimentare, alla moda.
Secondo lo studio, il Ticino si posiziona al quarto posto in Svizzera per il livello di pubblicazioni scientifiche con partecipazione internazionale. Grazie a quali attori?
Si tratta principalmente di istituti legati all’ambito universitario, quindi a Usi e Supsi, attivi nei settori che eccellono a livello internazionale. Nel campo delle scienze della vita penso ad esempio a quanto stanno facendo l’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb) e l’Istituto oncologico di ricerca (Ior), mentre in quello dell’intelligenza artificiale agli studi dell’Istituto Dalle Molle. Il numero di pubblicazioni dimostra il livello di avanguardia di questi settori.
A questo posizionamento corrisponde una capacità di attirare nuovi ricercatori?
Abbiamo delle testimonianze di rinomati ricercatori svizzeri e ticinesi che hanno deciso di far parte di questi istituti di ricerca. Al contempo l’essere all’avanguardia di queste realtà sul piano internazionale costituisce una calamita d’attrazione anche per ricercatori esteri.
I risultati ticinesi in materia d’innovazione sono migliorati del 20,4% rispetto al 2016: è un’evoluzione frutto anche di una strategia cantonale?
Quello dell’innovazione è un fil rouge che portiamo avanti da più decenni. Negli anni Novanta il riuscire a diventare un cantone universitario ha costituito un importante slancio. In questo momento stiamo puntando molto sul dialogo tra tessuto economico e mondo della ricerca e sulla messa in rete delle competenze, con dei buoni risultati. Da un lato mantenendo lo sguardo rivolto a sud, mi riferisco in particolare all’ex area Expo di Milano dove abbiamo un interessante progetto, con delle sinergie, nell’ambito delle scienze della vita. Dall’altro rafforzando lo sguardo verso nord, con l’adesione del Ticino alla Greater Zurich Area e con l’integrazione nello Switzerland Innovation Park grazie al Parco dell’innovazione in Ticino a cui stiamo lavorando e che parte dal consolidamento di tre centri di competenza: il Lifestyle Tech Competence Center con sede nel Luganese, quello delle scienze della vita nella regione del Bellinzonese e quello sui droni a Lodrino. Senza dimenticare le solide collaborazioni con realtà universitarie rinomate a livello internazionale, come il politecnico federale di Zurigo.
Dunque si intende continuare a investire per mantenere o migliorare questi primati?
Sì, è una via che intendiamo continuare a percorrere. Soprattutto con la pandemia ci si è globalmente accorti che l’innovazione può, come detto, fare la differenza. Vista l’evoluzione sempre più rapida della società, anticipare certi trend che riguardano il futuro può essere una carta vincente. Teniamo molto al fatto che questo sia possibile pure per le piccole-medie imprese, anche per quelle che operano in ambiti tradizionali, perché l’innovazione non riguarda solo i prodotti ma anche i processi di lavoro che possono essere migliorati con la digitalizzazione.
C’è il timore che lo stato delle finanze pubbliche e le prospettate misure di risparmio blocchino o rallentino alcuni progetti?
L’innovazione è innanzitutto un’iniziativa che viene dal privato. Lo Stato può fungere da supporto e da sostegno, ma è l’azienda a sviluppare le idee e a innovare. Evidentemente quando le risorse statali sono limitate è più difficile rispondere a tutte le richieste ed esigenze. In ogni caso, però, se esiste una dinamica virtuosa e positiva nella collaborazione pubblico-privato è più facile riuscire a reperire anche le risorse.
Si sta ragionando pure su una nuova strategia fiscale di sgravi?
Per ora non sono previste ulteriori novità per questa specifica tematica, in quanto abbiamo da poco introdotto in ambito fiscale degli strumenti pensati per aiutare chi fa innovazione. In particolare esiste oggi una paletta di strumenti che favoriscono l’investimento in startup. Risalgono a pochi anni fa e siamo uno dei pochi cantoni ad aver introdotto agevolazioni simili. Più in generale possiamo dire che una fiscalità che si tiene al passo con i tempi è attrattiva anche per chi fa innovazione. In futuro valuteremo altre possibili evoluzioni, ma in questo momento intendiamo concentrarci sul misurare e valutare come le recenti modifiche vengono recepite e utilizzate.
Quali vantaggi apporta all’economia ticinese il fatto che il cantone si confermi sempre più leader dell’innovazione?
Disporre di un tessuto economico che può essere dinamico nei suoi comparti più innovativi garantisce una certa diversificazione che sappiamo essere positiva anche per ridurre i rischi. Di fronte alla crisi finanziaria del 2008 siamo riusciti a guardare al futuro sia con la piazza finanziaria, che si è dovuta rinnovare, sia grazie ad altri ambiti di sviluppo interessanti. L’innovazione permette di essere specializzati in alcuni settori senza tuttavia essere monotematici.
E la popolazione comune, invece, cosa ci guadagna?
È chiaro che nei settori in cui il cantone è leader nell’innovazione la tipologia di posti di lavoro è circoscritta. Tuttavia possono esserci ricadute positive che vanno al di là di quegli specifici ambiti. Se un centro di competenze riesce ad attrarre talenti, ne beneficerà tutta l’area intorno. Potrebbero esserci più persone che consumano sul territorio e vi si trasferiscono, potrebbero crearsi sinergie con altri settori economici, alimentando così un circolo virtuoso a beneficio di tutti.
Non c’è maggior probabilità di attirare ulteriori lavoratori frontalieri mancando in Ticino profili sufficientemente qualificati?
Questo è sempre un rischio intrinseco a qualsiasi tipo di attività economica. Ma è anche vero che tanto più l’ambito è specializzato, tanto più ci sono delle condizioni interessanti che possono essere offerte ai residenti e che possono indurre anche i lavoratori pendolari a prendere residenza da noi.
Innovazione intuitivamente dovrebbe far rima con progresso socioeconomico. Questo però nel nostro cantone non pare il caso: nonostante i positivi primati citati, vantiamo quelli poco lusinghieri dei livelli salariali più bassi e dell’indice di povertà più alto della Svizzera. Sappiamo del fattore geografico, ma c’è una responsabilità anche della politica economica adottata dal Cantone?
Da un lato bisogna considerare appunto la nostra posizione geografica che influisce anche sul livello salariale perché siamo incuneati all’interno di un’area, quella lombarda, dove il differenziale salariale è importante. D’altro canto però non dobbiamo rassegnarci, e la volontà di fare qualcosa per cambiare la situazione la dimostriamo anche cercando di sviluppare nuovi settori particolarmente innovativi per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro che possono essere interessanti dal profilo salariale. Sappiamo che la differenza salariale rispetto al resto della Svizzera è meno marcata se consideriamo solo i dati dei residenti senza quelli dei frontalieri. Per questo motivo creare posti di lavoro per persone legate al territorio avrebbe un effetto positivo anche sull’ammontare complessivo dei salari.
Tuttavia, perché ciò avvenga, ci vuole pure la volontà degli imprenditori di non giocare al ribasso sui salari potendo contare sul bacino lombardo...
È vero, ma se un datore di lavoro è attivo in settori particolarmente innovativi e di successo avrà meno facilmente una simile predisposizione.