I deputati ticinesi alle Camere dopo le dichiarazioni della direttrice di FedPol: ‘Prima di chiedere più investigatori occorre una valutazione interna’
«È una reazione giustificata ma tartarughesca visto che il problema viene sollevato da anni, da parte mia i primi atti parlamentari risalgono al 2018...». Allarga le braccia e sospira sardonico il consigliere agli Stati dell'Udc Marco Chiesa nel commentare, raggiunto da ‘laRegione’, l'intervista pubblicata dal gruppo Tamedia e rilanciata dall'Ats, con cui la direttrice dell'Ufficio federale di polizia (FedPol) Nicoletta Della Valle chiede più personale per lottare contro la mafia. Alla FedPol "mancano circa 200 investigatori", ha dichiarato. In una Svizzera che "si è trasformata da luogo di ritiro a teatro di operazioni per la criminalità organizzata".
E Chiesa va all'attacco: «La lotta alla mafia è sempre stata troppo sottovalutata, e le cose stanno sfuggendo di mano ammesso che non lo abbiano già fatto del tutto», riprende il ‘senatore’ e presidente nazionale democentrista. Adesso, «piangere sul latte versato mi sembra un po’ irresponsabile: serve, semmai, agire. E in fretta». E per ‘agire’, Chiesa intende «approntare una vera strategia, duecento persone in più servono per fare cosa esattamente? Prima di parlare di mezzi vorrei si parlasse della strategia che è poco intelligibile. Quando sapremo dove vogliamo andare, si potrà parlare di nuovi mezzi a disposizione». Chiesa risponde sornione anche a un'altra affermazione della direttrice di FedPol, cioè che "dobbiamo chiederci esattamente quali permessi di soggiorno rilasciamo e chi naturalizziamo". «Alla buon'ora! – esclama il consigliere agli Stati – era ora che si affrontasse anche questo problema. A causa del politicamente corretto imperante molte verità non sono state dette da altri, sono sempre state sottaciute... mentre noi le abbiamo sempre messe al centro dell'agenda politica del Paese».
Chiesa non è l'unico parlamentare ticinese a Berna a essersi occupato del dossier lotta alla mafia. Per il consigliere nazionale del Plr Alex Farinelli ci sono due piani da distinguere e tenere separati: «Da un lato c’è la questione delle risorse intese come persone, dall'altro quello degli strumenti intesi come strumenti giuridici». Ciò detto, per Farinelli «è chiaro che la lotta alla criminalità organizzata è prioritaria, tant’è che il procuratore generale della Confederazione Stefan Blättler l'ha messa al primo posto». Ma la situazione è quella che è, «e il nodo gordiano è rappresentato da delle finanze che devono trovare una linea di stabilità, e quindi bisogna fare delle scelte». E fare come Della Valle, cioè dire che mancano 200 agenti inquirenti, per Farinelli «è un po’ poco», e come Chiesa chiede «che venga messa in campo una strategia, serve un progetto perché soprattutto in un momento in cui i soldi non abbondano è fondamentale far capire cosa si voglia fare, in che modo, dove si voglia arrivare e come riorientare le risorse interne: in questo caso sono fiducioso che il parlamento potrebbe essere disponibile a entrare nel merito di una discussione, ma il progetto deve essere convincente».
In più, in vista della sessione autunnale delle Camere federali prevista per il mese di settembre, Farinelli intende «presentare la richiesta di un postulato al Consiglio federale in merito alla creazione di una norma sui pentiti di mafia, e almeno approfondire questo tema». Che per il consigliere nazionale liberale radicale è centrale: «Potenziare i mezzi giuridici è un modo economico, concreto ed efficace per aiutare a migliorare la situazione, rendendo più performante il lavoro di polizia e magistratura. In Italia una delle svolte alla lotta alla mafia è stata la regolamentazione dei collaboratori di giustizia, potrebbe esserlo anche da noi». Senza dimenticare «l'importanza della collaborazione e cooperazione con i Cantoni».
Un aspetto, quello del ruolo dei Cantoni, su cui pone l’accento anche Marco Romano. Il deputato del Centro al Nazionale non pensa certo al Ticino, cantone dove l’azione di contrasto alle infiltrazioni mafiose e al riciclaggio di denaro sporco ha registrato importanti successi investigativi. Prima che la competenza passasse alle autorità federali di perseguimento penale, polizia e Procura ticinese si sono occupate a lungo di inchieste sulla criminalità organizzata: arresti e processi (peraltro il Ticino è stato il primo cantone a infliggere una condanna per organizzazione criminale ai sensi dell’articolo 260ter del Codice penale svizzero). E stretta è la cooperazione con FedPol. No, Romano si riferisce soprattutto «ai grandi cantoni come Zurigo, Berna, Vaud e Basilea dove il problema delle infiltrazioni mafiose continua a essere sottovalutato, relativizzato».
Afferma ancora il consigliere nazionale: «Della Valle dice finalmente che occorrono più investigatori. E fa bene a chiederli. Prima però dovrebbe forse riposizionare all’interno dell’Ufficio che dirige alcune priorità. E soprattutto dovrebbe dare lo svegliarino appunto ai Cantoni, specie ai grandi che ho citato prima, perché se non cambiano marcia vi è il rischio che quello che fa FedPol serva a ben poco. È infatti nei cantoni, nei rispettivi territori, che gli illeciti vengono commessi e alcuni potrebbero essere il segnale della presenza di organizzazioni o di soggetti mafiosi». I cosiddetti reati spia. «I Cantoni – riprende Romano – dovrebbero quindi destinare più agenti e mezzi alla lotta contro il crimine organizzato di stampo mafioso, affinché la loro collaborazione con la Polizia federale sia davvero efficace, affinché, se ci sono i presupposti, i casi vengano successivamente istruiti dal Ministero pubblico della Confederazione e poi sottoposti al giudizio del Tribunale penale federale. Oggi si eseguono molte rogatorie, domande di assistenza giudiziaria provenienti dall’estero: ora occorrono più procedimenti penali autonomi, aperti cioè dalle nostre autorità, e processi in Svizzera perché si possa creare giurisprudenza anche da noi».
Per la direttrice di FedPol mancherebbero almeno duecento investigatori. «Non dispongo di parametri per dire se le attuali risorse umane dell’Ufficio federale di polizia siano numericamente insufficienti oppure sufficienti – premette il consigliere nazionale del Centro e presidente della deputazione ticinese alle Camere federali Fabio Regazzi -. Ora, non escludo che servano più investigatori e mezzi per FedPol, ma prima sarebbe opportuno capire se le risorse odierne siano impiegate in modo efficiente. Chiaramente, anche nell’attività di contrasto alle infiltrazioni mafiose le inchieste penali sono sempre più complesse. Ma, ripeto, prima andrebbe fatta, secondo me, una valutazione per stabilire se non vi siano magari problemi organizzativi o di metodologia di lavoro. Se per finire si riscontrasse un’effettiva carenza di risorse, allora la politica dovrà discuterne e dare delle risposte».
Regazzi è anche presidente dell’Usam, l’Unione svizzera delle arti e mestieri, associazione che rappresenta le piccole e medie imprese. Gli imprenditori svizzeri sono consapevoli del pericolo infiltrazioni mafiose nel tessuto economico? «La stragrande maggioranza degli operatori è piuttosto attrezzata e dunque in grado di intravedere certi rischi – assicura il deputato al Nazionale –. Ovviamente le più vulnerabili da questo profilo potrebbero essere le aziende in difficoltà economica. È però con gli appalti pubblici, specie quando sono in ballo grandi opere, che bisogna stare attenti. Qui lo Stato deve vigilare al massimo».