Il carovita colpisce anche le pizzerie. Ma gli aumenti sono contenuti e non uniformi, e per alcuni non è colpa solo dei rincari di prodotti ed energia
“Una pizza in compagnia, una pizza da solo”, cantavano un pugno di anni fa Elio e le Storie Tese. Non immaginando, probabilmente, che anche uno dei piatti tipici della cucina italiana, e ampiamente apprezzato anche alle nostre latitudini, sarebbe stato colpito dalla recente ondata di rincari. Inflazione in primis.
Ma quanto si spende oggi mediamente per gustare una pizza in Ticino? Dando uno sguardo ai menu di varie pizzerie di tutte le regioni, e selezionando le “classiche” (marinara, margherita, diavola, Napoli, 4 stagioni, al prosciutto, capricciosa, quattro formaggi) la prima cosa che salta all’occhio è una certa varietà di prezzi: per la “regina” delle pizze, la margherita, ad esempio, si può andare da 10 franchi fino anche a 16, mentre per una più complessa 4 formaggi si possono anche spendere 24 franchi.
Confrontando poi i prezzi sui menu attuali, visibili sui siti web dei locali, con quelli del 2021 (rintracciabili tramite il sito web archive.org, che fornisce le versioni archiviate da Google dei suddetti siti, o sui social), i rincari non sono uniformi. C’è chi, almeno finora, ha scelto di mantenere lo stesso livello di prezzi, mentre altri locali hanno adottato la strategia di un rincaro lineare, che va dai 50 centesimi o 1 franco nella maggior parte dei casi, fino anche a 3 franchi per alcune preparazioni più ricche.
A spiegare gli aumenti dei prezzi, come già da noi scritto nei giorni scorsi, è in gran parte il maggior costo dei prodotti alimentari, nonché dell’energia, «rincarata in maniera vertiginosa – spiega Mauro Cecchini, titolare del ristorante Il Sole di Pregassona – ma lavorando bene ci si fa meno caso, soprattutto se si sceglie di usare il gas, che permette di non lasciare necessariamente il fornello acceso perché sia sempre caldo. Finora abbiamo aumentato di pochi centesimi dopo la pandemia, ma prossimamente dovremo ritoccare i prezzi, perché comunque sulle bevande il margine di guadagno è esiguo».
Ma materie prime ed energia, per il nostro interlocutore, non sono gli unici fattori a incidere e spingere i ristoratori ad adeguare i prezzi al rialzo: «Con la tassa sul sacco il costo dello smaltimento dei rifiuti è aumentato moltissimo. Noi ci rivolgevamo già a una ditta di riciclo, pagando già parecchio, ora è ancora di più. Chiedono di fare ecosinergie, di usare ad esempio i rifiuti organici per creare biogas, ma se nessuno aiuta a farlo queste realtà non cresceranno mai».
C’è poi una realtà che riguarda sempre i prodotti alimentari, ma è meno considerata: i dazi doganali: «Si insiste con il voler per forza produrre, ad esempio, ortaggi che non si trovano a proprio agio con il nostro clima, e che a livello qualitativo sono anche inferiori rispetto a equivalenti esteri, oltre a richiedere spesso tempi di cottura maggiori e quindi maggiori costi per l’energia. Ma se vogliamo importarli, siamo costretti a pagare dazi doganali altissimi».
Ma i clienti, quelli che, alla fine della fiera, devono sborsare quel franco in più per una pizza margherita o una capricciosa, come hanno preso i rincari? «In generale positivamente: se lavori bene e offri un servizio di qualità quasi non se ne accorgono».