Oggi la rete Erredipi in vari presidi a Lugano, Bellinzona, Locarno e Mendrisio protesterà contro i tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici
Che venga considerata ‘mobilitazione’ o ‘sciopero’ conta il giusto. Oggi la rete Erredipi, l’associazione che si batte per la difesa delle pensioni dei dipendenti pubblici minacciate dalle ombre fosche del risanamento dell’Istituto di previdenza del Canton Ticino (Ipct) e dalla prospettata riduzione delle rendite in seguito alla decisione della stessa cassa pensioni degli statali di ridurre progressivamente il tasso di conversione (dal 6,17 al 5 per cento), metterà in atto quanto annunciato un paio di settimane fa: uno sciopero considerato come “evoluzione della nostra protesta”.
Lo sciopero interesserà, informa Erredipi, soprattutto le scuole. E oggi i presidi di protesta saranno a Bellinzona, dalle 9, in viale Stazione nei pressi della Manor; a Locarno, dalle 10, in Piazza Grande; a Mendrisio, sempre dalle 10, al Piazzale Liceo. Il ‘grosso’ sarà però concentrato davanti al Liceo 1 di Lugano, dove dopo il ritrovo alle 10 ci sarà una conferenza stampa alle 11.45.
La si chiami ‘mobilitazione’ o ‘sciopero’, si diceva, saranno numerose le scuole chiuse. Altre continueranno le proprie attività, ma con i rispettivi plenum ad aver espresso forte preoccupazione per la situazione presente e futura delle proprie pensioni. In tutto ciò, il Consiglio di Stato parrebbe concentrarsi sulla semantica. Con una comunicazione inviata ieri a collaboratori e docenti, e firmata dal cancelliere Arnoldo Coduri, si ricorda “a titolo complementare” che “il governo tiene sottolineare (sic, ndr) che la mobilitazione di mercoledì 10 maggio 2023 (oggi, ndr) non può essere riconosciuta come sciopero, in quanto non vengono adempiute le condizioni stabilite dalla risoluzione governativa numero 6503 del 16 novembre 2012 (Diritto allo sciopero), in particolare per quanto riguarda la fine delle trattative o delle mediazioni che, come noto, sono tuttora in corso”. A fine mese dovrebbero infatti chiudersi le trattative tra governo e sindacati per la questione relativa alle misure di compensazione.
La risoluzione governativa cui accenna il Consiglio di Stato, licenziata un paio di settimane prima dello sciopero del 5 dicembre 2012 contro i tagli previsti per la scuola nel Preventivo 2013, scrive chiaramente che “lo sciopero è garantito dalla Costituzione”, vale a dire l’articolo 28, capoverso 3 della Costituzione federale e l’articolo 8, capoverso 2, lettera f della Costituzione ticinese. In più, come se non bastasse, è garantito pure dalla “giurisprudenza del Tribunale federale”. Nella risoluzione si rammenta come lo sciopero sia lecito con la soddisfazione di queste condizioni: “Riguarda il rapporto d’impiego e non ha uno scopo puramente politico; è conforme all’obbligo di preservare la pace del lavoro o di condurre trattative di conciliazione; concerne un conflitto di natura collettiva; è proporzionato allo scopo perseguito ed è utilizzato unicamente come ultima ratio, allorquando la negoziazione o la mediazione non siano più possibili; deve essere deciso o quantomeno appoggiato da un’organizzazione che rappresenta i lavoratori”.
La giornata di mobilitazione/sciopero degli statali avrà però strascichi parlamentari. In questi giorni sono state depositate un paio di interpellanze con la richiesta di chiarimenti al Consiglio di Stato. Una firmata dall’Udc e l’altra, con un titolo reboante (“A scuola di anarchia”), dalla Lega. Nel mirino di entrambe, i docenti. Il governo dovrebbe rispondere, il condizionale è d’obbligo, nella sessione di Gran Consiglio che si aprirà lunedì 22 maggio.
“Alcune scuole del nostro cantone hanno informato i genitori degli allievi che mercoledì 10 maggio gli Istituti saranno in sciopero. Una cosa mai vista e inaudita”, scrive una, si desume, preoccupata e arrabbiata Maruska Ortelli nell’interpellanza inoltrata per il gruppo leghista in Gran Consiglio. Una cosa mai vista? E quello andato in scena appunto mercoledì 5 dicembre 2012 contro i tagli proposti dal governo con il Preventivo cantonale per l’anno seguente che cos’era, una gita di piacere? No, era uno sciopero.
Rincara la deputata: “Siamo uno Stato democratico o dobbiamo sottostare alle leggi sindacali? I docenti sono impiegati dello Stato e anche ben retribuiti. Questi docenti stanno insegnando l’anarchia ai propri allievi altro che democrazia”. Uella. Domanda quindi Ortelli: il Dipartimento educazione cultura e sport “intende prendere provvedimenti? In che modo farà (se si potrà) recuperare le ore di insegnamento non svolte a causa dello sciopero? Il Dipartimento appoggia questo modo di fare dei docenti?”.
Dalla Lega ai democentristi. Che con il loro nuovo deputato, l’avvocato e già granconsigliere del Plr Andrea Giudici, e il loro capogruppo Sergio Morisoli, chiedono al governo se non creda che “le opinioni politico/sindacali dei docenti debbano rimanere fuori dal contesto scolastico”, come valuti “l’invito (formulato da alcuni istituti scolastici citati dai due parlamentari, ndr) alle famiglie di non mandare i figli a scuola”. E, super quesito, quale sia “la base giuridica che permette ai dipendenti dello Stato di scioperare”.
La base giuridica per quanto riguarda il diritto di sciopero, ma anche quello di serrata, sono – osserviamo, anzi ribadiamo – l’articolo 28 capoverso 3 (capitolo ‘Libertà sindacali’) della Costituzione federale e l’articolo 8, capoverso 2, lettera f (capitolo ‘Diritti individuali’) della Costituzione cantonale. Nella Carta fondamentale ticinese, avallata dal popolo il 14 dicembre 1997, il diritto di sciopero è riconosciuto dal 1° gennaio 1998. Ovvero da quando è entrata in vigore la revisione totale della stessa Costituzione.
Il messaggio governativo non contemplava il diritto di sciopero. La lacuna è stata colmata dal rapporto commissionale redatto dall'allora deputato socialista John Noseda e poi approvato dal Gran Consiglio: “È stato introdotto il diritto di sciopero e di serrata, che il messaggio non aveva ritenuto di menzionare pur riconoscendone il fondamento con esplicito riferimento al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e alla giurisprudenza federale (messaggio, pag. 29). La Commissione ha quindi ritenuto di riprendere le proposte dell’avamprogetto (articolo 11, capoverso 3) introducendo il diritto di sciopero e di serrata all’interno dei diritti individuali".
La riforma costituzionale venne affrontata dal plenum del Gran Consiglio nell’ottobre 1997. Spazio dunque a ricordi, resoconti giornalistici e verbali delle sedute. Così la ‘Regione’ dell’epoca: “(...) Si è accesa un’ampia discussione sul diritto di sciopero e di serrata. Da stralciare per i Plr Edo Bobbià e Tullio Righinetti (deve valere il Codice delle obbligazioni e deve primeggiare la pace del lavoro), da confermare per Giovanni Jelmini (Ppd), Abbondio Adobati (Plr) e per i socialisti Benito Bernasconi e Carlo Verda (...)”. Dai verbali del Gran Consiglio ecco cosa disse fra l’altro Adobati: “Una Costituzione moderna, una Costituzione che si rifà in più punti alle Dichiarazioni universali non può tacere il diritto di sciopero”. Secondo Carlo Verda il diritto di sciopero “rappresenta una conseguenza della libertà di associazione, sindacale e anche di opinione”. E ricordò che “qualche anno fa, in merito a uno sciopero effettuato da docenti cantonali, il Tribunale federale aveva espressamente riconosciuto che la dottrina dominante ammetteva l’esistenza di un diritto di sciopero anche per i funzionari pubblici, ovviamente rispettando i limiti della proporzionalità (vale a dire che lo sciopero è un mezzo da utilizzare unicamente quando altri mezzi, meno incisivi, sono già stati usati senza risultati soddisfacenti)”. Era il 1997. Altri deputati.