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Albertoni: ‘La frammentazione politica ci preoccupa non poco’

Il direttore della Camera di commercio: ‘Gli imprenditori hanno bisogno di certezze. Meno ideologia e più discussioni fondate su fatti concreti’

Appunti per la prossima legislatura
(Ti-Press)
9 febbraio 2023
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«La frammentazione politica ci preoccupa non poco, perché già nella legislatura che si avvia a concludersi si è dimostrato quanto si fatichi a stringere alleanze, quindi maggioranze, per far passare dei progetti». In vista delle Elezioni cantonali del 2 aprile il direttore della Camera di commercio, dell’industria e dell’artigianato del Canton Ticino Luca Albertoni, a colloquio con ‘laRegione’ è netto: «Se questa frammentazione si acuirà ulteriormente, per noi sarà un problema».

Perché?

Perché il mondo imprenditoriale ha bisogno di certezze. Più compagini sono rappresentate, più hanno bisogno di profilarsi e più si va verso esibizioni pubbliche per la platea, piuttosto che per la concretezza. Noi come sempre siamo pronti a contribuire e fare la nostra parte, nel rispetto dei ruoli. Quello che gli imprenditori si aspettano, però, è che con il parlamento si possa ragionare su dati e fatti concreti, e non solo su questioni bloccate da un imprinting eccessivamente ideologico. Il rispetto per tutte le correnti e le idee non viene mai a mancare, ci mancherebbe. Ma spesso vengono proprio ignorati i fatti e vengono prese decisioni basate su altri parametri facendo mancare una discussione fattuale. Non ci piace dire cosa debbano fare lo Stato o la politica, non ci piace salire in cattedra. Ma vogliamo essere presi sul serio, il dialogo deve essere reciproco, sennò non si fanno passi avanti e tutto resta fine a sé stesso.

Anche perché il contesto economico e geopolitico non aiuta. Quali sono le maggiori preoccupazioni per voi?

Con l’energia ci è andata meglio del previsto, ma il problema resta irrisolto e aleggia in vista del prossimo inverno. La questione geopolitica, che sembra piuttosto astratta, incide molto nel nostro microcosmo ticinese. Sia chi vive di esportazione, sia di importazione ha visto diventare molto più complessi i parametri operativi. Senza dimenticare i problemi di approvvigionamento. Tutti ambiti dove sono in atto cambiamenti strutturali che hanno un’incidenza anche da noi, e il nostro auspicio forte è che se ne tenga conto a livello di condizioni quadro. Oggi è diventato tutto più complesso, occorre ragionare su come si possa rendere non troppo difficile la vita all’imprenditore.

È questo quello che, quindi, chiedete allo Stato?

Sì. Tutto ciò che ruota attorno al fare impresa deve, nella misura del possibile, rimanere attrattivo. Non abbiamo mai chiesto e non chiederemo mai favori o condizioni particolari. Fare impresa deve essere alla portata di tutti, per produrre ricchezza. Possiamo fare molti discorsi infrastrutturali, fiscali, parlare di rigidità contrattuale… ma il denominatore comune è l’importanza del fatto che le cose siano meno complicate possibile. E partendo da questo, c’è anche una riflessione più ampia sul ruolo del privato e dello Stato, che durante la pandemia è magari stato un po’ falsato. L’aiuto dello Stato è stato un’eccezione, non deve ovviamente diventare un’abitudine.

Deve capirlo anche il privato, però. Da sinistra e dal mondo sindacale siete accusati da un lato di chiedere finanze sane, e dall’altro di dire che lo Stato deve aiutare chi fa impresa.

Anche il privato deve capirlo, certo. Per questo è importante il dialogo e la suddetta accusa è ingenerosa verso le imprese. Gli aiuti durante la pandemia sono stati un’eccezione, lo ribadisco. Giusti però perché legati a imposizioni di chiusure e limitazioni varie. Ma anche in questo ambito va recuperata e messa in atto una discussione meno ideologica. Da parte nostra, come Camera di commercio e dell’industria, siamo sempre stati chiari: sottolineiamo le esigenze delle aziende perché è il nostro compito, senza però rivendicare interventi statali tout-court, ma sempre in un’ottica costruttiva. Ad esempio nella formazione cerchiamo molto la collaborazione per elaborare novità o progetti, attualmente cercando di identificare con una certa precisione le esigenze dei vari settori per fornire allo Stato basi solide per decisioni fondate sui nuovi orientamenti del mercato del lavoro. Pertanto, mai pensato di fare un assalto a Palazzo delle Orsoline e alle casse cantonali rivendicando chissà cosa, chissà quale aiuto o sostegno: è molto lontano dalla mia mentalità. Anzi, il mio primo ragionamento è sempre improntato a cosa possiamo fare noi come privati. Poi, sulla base di questo, è nostro dovere chiedere allo Stato di operare affinché le famose condizioni quadro restino buone. E francamente non mi sembra esagerato.

Una pandemia globale, la guerra che è tornata in Europa... Nonostante tutto questo, però, le imprese ticinesi stando alla vostra indagine congiunturale sembrano intenzionate a continuare a investire. Come se lo spiega, in un momento così complicato?

Questo che lei cita è un segnale molto forte nei confronti del Paese, e non va sottovalutato. Penso che le spiegazioni siano nel credere nel territorio prima di tutto, e secondariamente perché l’investimento resta fondamentale per rimanere competitivi, soprattutto per chi è confrontato con il contesto internazionale. L’investimento evidentemente comprende molti aspetti, dal miglioramento dei processi a quello dei prodotti per mantenere alta la qualità nei confronti dei clienti: questo è vitale. In un contesto così complesso, comunque, il tessuto economico ticinese, che è diversificato, aiuta molto a superare i momenti difficili come questo che stiamo vivendo.