Ticino

Mobilità Usi al top: ‘Coltiviamo la dimensione internazionale’

L’ateneo ticinese è tra i pochi in Svizzera (4 su 36) ad aver raggiunto l’obiettivo del 20% dei diplomati con un’esperienza all’estero. Ecco i motivi

La sede luganese
(Ti-Press)
26 gennaio 2023
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Sono solo quattro su trentasei le scuole universitarie nel nostro Paese ad aver raggiunto l’obiettivo del 20% dei diplomati con un’esperienza all’estero a scopo di studio o di tirocinio. E tra queste c’è l’Università della Svizzera italiana (Usi). Lo indica uno studio – il primo di questo genere – dell’agenzia Movetia, incaricata della promozione degli scambi e della mobilità. Un traguardo toccato, oltre che dall’Usi (26,3%), dall’Università di San Gallo (53%), dal Politecnico federale di Losanna (32%) e dall’Alta scuola pedagogica sangallese (28%), su un totale di 36 alte scuole svizzere prese in considerazione e analizzate prima dell’arrivo della pandemia.

Conformemente alla strategia nazionale della Confederazione e dei Cantoni e agli obiettivi del sistema di Bologna, il 20% dei diplomati dovrebbe aver fatto un’esperienza di studio o di stage all’estero. Il tasso medio delle alte scuole svizzere è però solo del 15,7%. Una quota di mobilità elevata è considerata importante per la Svizzera nella sua veste di Paese innovativo, e per la sua economia, rileva Movetia. Effettuare un soggiorno all’estero "crea un valore aggiunto decisivo per gli studenti che acquisiscono così competenze interculturali, professionali e personali". Con Arianna Imberti Dosi, responsabile del Servizio relazioni internazionali e mobilità dell’Usi, abbiamo approfondito le caratteristiche e gli incentivi che fanno dell’Università della Svizzera italiana una delle più virtuose sotto questo profilo, nonché i relativi benefici.

Come si spiega il raggiungimento di questo risultato da parte dell’Usi?

Sono diversi i fattori che concorrono nel favorire la mobilità nella nostra università. Tra questi è sicuramente da annoverare l’offerta di programmi di studio che prevedono al loro interno le cosiddette "finestre di mobilità". Ad esempio per chi partecipa al Bachelor di architettura è previsto un periodo di pratica di un anno e una parte piuttosto numerosa di questi studenti decide di svolgerla presso uno studio di architettura estero. Ci sono poi altri programmi che prevedono la possibilità di studio al di fuori dei nostri confini o che hanno sviluppato degli accordi di scambio strutturati con delle specifiche università. La differenza tra i due tipi di mobilità è che nel primo caso si tratta di una mobilità tradizionale dove lo studente ha il vantaggio – o lo svantaggio, a dipendenza di come la si vede – di doversi costruire il proprio piano di studio da un menù di corsi messi a disposizione, mentre nel secondo il piano di studio è già predisposto.

Un peso importante ha anche il fatto che la maggior parte dei programmi di studio all’Usi è proposto in inglese. Trattandosi di una lingua ampiamente diffusa, la sua padronanza rende lo spostamento più agevole.

Il posizionamento ai vertici è anche frutto del lavoro che portiamo avanti da diversi anni. Tra le attività consolidate, la richiesta a tutti gli studenti in uscita e in entrata, al termine del loro soggiorno, di rispondere a un questionario per valutare la qualità del servizio offerto ma anche di scrivere un elaborato in cui danno informazioni pratiche e fanno delle considerazioni personali sul loro vissuto. Questo archivio di elaborati è sempre più ricco ed è messo a disposizione di tutti gli studenti, fungendo da ulteriore incentivo. Inoltre, garantiamo agli studenti di essere seguiti dal momento in cui manifestano l’intenzione di partire fino al rientro.

Altro fattore centrale è il grado di internazionalizzazione, che oltre alla collaborazione in materia di insegnamento e di ricerca contempla anche la nazionalità degli studenti e dei professori.

Esatto, anche in questo ambito l’Usi è ai vertici della classifica. Per sua natura ha una popolazione molto internazionale e ciò fa sì che gli studenti siano già immersi in un contesto multiculturale e di conseguenza anche spostarsi risulta più facile. D’altronde la dimensione internazionale è un aspetto che coltiviamo attivamente e su cui si è messo l’accento a livello di strategia. Di recente, nel 2020, è stato ad esempio nominato un Prorettore per l’internazionalizzazione, il professor Cesare Alippi, che ha portato allo sviluppo di diverse attività e all’elaborazione di un piano strategico.

Questo scenario come si traduce in termini numerici?

Attualmente all’Usi sono rappresentati 114 Paesi. A livello di principali gruppi di provenienza, nel semestre autunnale 2021/22 c’erano 933 studenti ticinesi, 347 di altri cantoni, 1’893 arrivati dall’Italia e 749 da altri Paesi.

Quanto alla mobilità a scopo di studio, escludendo dunque i tirocini, risulta che la maggior parte degli studenti sceglie una destinazione in Europa, anche perché i nostri principali accordi – 103 – sono con 83 università partner europee. Ne abbiamo poi 9 con istituti non europei e il resto è con le altre università svizzere. La facoltà con la mobilità maggiore è quella di scienze economiche, seguita da architettura, comunicazione, cultura e società e informatica.

Nelle scelte geografiche degli studenti a giocare un ruolo importante è anche il fattore economico-finanziario dato che per l’Europa possiamo attribuire Borse di studio per il tramite dell’agenzia Movetia, cosa che non avviene per la mobilità all’interno dei confini svizzeri e avviene limitatamente per quella fuori dall’Europa.

A proposito di esperienze in altri cantoni, nello studio Movetia queste non vengono considerate. Quanto però sono significative?

Grazie alle sue caratteristiche il nostro Paese è anche molto attraente a livello di mobilità interna dato che permette, pur rimanendo nella stessa nazione, di studiare in lingue diverse e respirare ambienti differenti che avvicinano a Germania e Francia. Si tratta di un’opzione molto apprezzata, pure da studenti Usi che provengono dall’estero e in particolare da Paesi lontani, visto che, come detto, permette di confrontarsi col plurilinguismo e varie culture senza dover lasciare la Svizzera e magari dover chiedere un nuovo visto. Considerando anche l’eccellenza del sistema universitario svizzero, si tratta di un valore aggiunto molto grande.

Ma è per forza un bene questa alta mobilità? Non c’è il rischio che si creino le premesse per una fuga di cervelli?

Non considererei la mobilità come una causa primaria di fuga di cervelli dato che si basa su degli accordi con università che devono essere bilaterali. Questo vuol dire che c’è un flusso sia in uscita che in entrata. Quella di rispettare tale bilanciamento è proprio una richiesta da parte di Movetia che deriva dal governo. Quindi se da un lato c’è la possibilità che qualche studente che parte decida di rimanere all’estero, dall’altra ci può essere chi arriva e decide di stabilirsi in Ticino. Un esempio curioso riguarda una nostra università partner in Australia, la University of Technology Sydney, che offre un percorso di studio (Major) intitolato "Switzerland". Ogni anno riceviamo dai 2 ai 3 studenti iscritti a questo programma.

Quali sono allora i benefici della mobilità?

Sicuramente permette di vivere un’esperienza arricchente da un punto di vista accademico perché c’è la possibilità di confrontarsi con dei sistemi universitari e dei metodi di insegnamento diversi. L’Usi ad esempio è una realtà di dimensioni limitate dove gli studenti sono molto seguiti e ad alcuni può venire voglia di fare un’esperienza in un’università di grandi dimensioni. Viceversa ci sono studenti che vengono da università molto grandi e quando arrivano a Lugano o Mendrisio apprezzano di essere seguiti da vicino, di avere un contatto diretto con i docenti e il personale amministrativo. Quello che notiamo è che non di rado negli studenti che tornano da esperienze all’estero scatta un meccanismo di rivalutazione della realtà locale.

E al di là dell’aspetto accademico?

È appurato anche da diversi studi che un’esperienza all’estero è un biglietto di ingresso importante nel mondo del lavoro. C’è poi indubbiamente anche un arricchimento a livello personale. Si sviluppano le cosiddette "soft skills", quindi le capacità di adattamento, di cavarsela in situazioni nuove, le competenze interculturali e di comunicazione, ma anche l’estensione della rete dei contatti personali. C’è inoltre un beneficio per lo sviluppo del côté sociale e ricreativo. Uno degli aspetti che viene richiesto anche a noi come Servizi di relazioni internazionali nel quadro dei doveri di accoglienza è quello di aiutare gli studenti esteri nella conoscenza del territorio e della cultura del Paese. Organizziamo anche attività di tipo ricreativo al loro indirizzo come d’altronde fanno le altre università con i nostri studenti.

I risultati dello studio Movetia reggono un raffronto internazionale?

Per quanto riguarda il confronto sul piano delle percentuali, nello studio di Movetia si legge che rispetto ai calcoli effettuati a livello europeo, in quelli dell’Ufficio federale di statistica ci sono aspetti che non vengono considerati. Quindi probabilmente queste quote di mobilità svizzera, se si seguissero le direttive degli studi a livello europeo, risulterebbero inferiori rispetto a quelle presentate dallo studio in questione.

Quanto pesa non far più parte dal 2014 del programma europeo Erasmus+?

Bisogna fare dei distinguo. A livello di mobilità tradizionale il fatto di non partecipare a Erasmus+ ha delle conseguenze in parte arginate dalla soluzione "Semp" (Swiss-European Mobility Programme) di partenariati bilaterali messa in atto dal governo. In questo ambito i problemi principali riguardano la questione finanziaria perché il budget stanziato dal Consiglio federale cresce negli anni ma non in modo esponenziale, quindi in futuro potrebbe succedere che non saremo in grado di attribuire le Borse di studio a tutti gli studenti che desiderano fare esperienze all’estero, e questo potrebbe avere come conseguenza la disdetta dell’accordo da parte dell’università partner.

E oltre all’aspetto della mobilità, quali sono i problemi di questa esclusione?

Erasmus+ è effettivamente un programma molto più ampio che la sola mobilità. Ci sono attività e progetti per cui sono previsti sostegni finanziari dall’Ue a cui le nostre università partner europee hanno accesso mentre noi no. Per esempio si sta lavorando a una piattaforma chiamata "Erasmus without paper" che come suggerisce il nome, ha lo scopo di gestire in modo digitale i dati relativi alla mobilità: dati degli studenti, informazioni sui corsi, certificati d’esame, accordi bilaterali eccetera. Non è scontato che la Svizzera possa partecipare e se rimarremo tagliati fuori, significa che avremo un modus operandi diverso rispetto alle altre università dovendo ancora ricorrere a tabelle excel e scambio di e-mail.

Altro aspetto problematico è che le procedure "Semp" sono sì le più simili possibile a quelle di Erasmus, ma non sono le stesse. Ad esempio a livello di formulari e di modulistica c’è differenza e ogni volta che abbiamo a che fare con una nuova università partner dobbiamo spiegare che funzioniamo in modo un po’ diverso. Questo può provocare anche a loro una perdita di tempo perché non possono operare come sono abituati a fare. In generale non possiamo nemmeno partecipare alle riunioni in cui si prendono delle decisioni riguardanti l’Erasmus, ci dobbiamo sempre adattare senza poterci mai fare promotori di nulla. E non da ultimo, non figuriamo mai nelle statistiche. Ci sono dunque varie complicazioni dovute a quella che doveva essere una condizione transitoria e invece va avanti dal 2014. Il nostro auspicio è che si possa al più presto essere finalmente riammessi a titolo ufficiale.