Il Gran Consiglio boccia l’iniziativa del Ps ‘per un’equa rappresentanza di genere’ tra i membri delle autorità politiche nel Canton Ticino
Nulla da fare per l’iniziativa volta ad assicurare che in ogni elezione, nel complesso delle candidature presentate da ogni lista, nessuno dei due generi sia rappresentato in misura superiore al 60%. Proposta bocciata per 44 a 18 (7 astenuti) dal parlamento e che nelle intenzioni del promotore Raoul Ghisletta (Ps) aveva lo scopo di aumentare la scarsa presenza femminile tra i membri delle autorità politiche nel Canton Ticino.
Ricordando che il principio di pari opportunità tra donne e uomini è ancorato alla Costituzione federale, Ghisletta ha evidenziato che «purtroppo in Ticino sulle liste elettorali non è ancora stata raggiunta un’equa rappresentanza di entrambi i generi». Questo perché «i partiti mediamente non danno alle donne le medesime opportunità di riuscita rispetto agli uomini», ha detto il deputato socialista che per cercare di ovviare al problema ha presentato un’iniziativa in forma generica che ha definito «estremamente ragionevole e moderata».
Di ben altro avviso la relatrice del rapporto di maggioranza Lara Filippini (Udc) secondo cui «con questo ragionamento si vorrebbero imporre le cosiddette quote rosa. Così facendo si limita la libertà dei partiti e dei movimenti nella composizione e nell’impostazione da dare alle liste». Per Filippini, che ha sottolineato come dal 2007 a oggi le elette in Gran Consiglio siano passate da 10 a 31, «tutto è migliorabile e perfettibile, ma l’aumento c’è stato ed è avvenuto senza alcuna normativa stringente».
Secondo la granconsigliera democentrista è inoltre «innegabile che questa battaglia per la parità anche nelle liste elettorali si sta trasformando purtroppo in altro, come la demonizzazione dell’uomo o la mutazione della femminilità in un groviglio di recinti e tutele che non produce un aumento. Ogni partito, se sensibile a tale tematica, al punto di sentire di dover "spingere" sul tema, è libero di proporre al proprio interno una riflessione sull’imporre delle quote rosa, azzurre, multicolor, e via discorrendo, sulle proprie liste elettorali».
Dal canto suo, la relatrice di minoranza Daria Lepori (Ps) ha rimarcato che «per una donna portare avanti una carriera politica è una corsa a ostacoli», riferendosi al quadro di condizioni discriminatorie per quanto riguarda salario, suddivisione dei ruoli domestici, conciliabilità lavoro-famiglia, che rende «difficile trovare donne che si mettano in lista». Ma per Lepori proprio una maggior presenza femminile nei legislativi ed esecutivi è necessaria per velocizzare questi cambiamenti.
Tra le fila dei contrari Michela Ris (Plr) per la quale lo scopo di aumentare la presenza femminile in politica «non si raggiunge con coefficienti ma con migliori condizioni quadro». Per la leghista Sabrina Aldi la proposta «significherebbe imporre ai partiti di scegliere chi candidare in base al genere invece che alle competenze, alle qualità e alle idee». Contraria alle conclusioni del rapporto di minoranza anche Sabrina Gendotti (Centro/Ppd), che si è però opposta pure all’analisi contenuta in quello di maggioranza: «Non possiamo esimerci dal distanziarci dal tono disprezzante e banalizzante utilizzato».
Anche Massimiliano Ay (Pc) ha detto di non essere favorevole «alle quote rosa che sono una risposta semplicistica. Sosteniamo invece maggiori risorse economiche per le pari opportunità». Astensione da parte di Angelica Lepori (Mps): «La sottorappresentanza delle donne nelle istituzioni è evidente, ma le quote di rappresentanza non possono risolvere il problema. Quello che serve è modificare radicalmente le condizioni di discriminazione di cui le donne sono vittime». Per contro Tamara Merlo di Più Donne ha appoggiato l’iniziativa: «Le donne votano le donne, com’è ampiamente dimostrato. Ma perché ciò avvenga le donne devono innanzitutto essere in lista e in questo l’ostacolo sono i partiti».