Una Sagl di Bellinzona e un negozio di Locarno hanno acquistato merce contrabbandata dall’Italia. Il Taf: ora devono versare i tributi doganali dovuti
Una società a garanzia limitata (Sagl) con sede a Bellinzona che gestisce un negozio di gastronomia, così come un commercio di alimentari di Locarno hanno acquistato salumi e formaggi da un intermediario che aveva importato la merce in Svizzera dall’Italia senza dichiararla. L’Amministrazione federale delle Dogane (Afd) ha quindi intimato alle due attività di pagare i tributi doganali pari, rispettivamente, a 2’636 franchi (più 321 franchi di interesse di mora) e a 20’936 franchi (più 2’609 franchi di interesse di mora). Attività che hanno in seguito inoltrato ricorso al Tribunale amministrativo federale (Taf) contro le decisioni dell’Afd, ritenendo di aver agito in buona fede, non sapendo che la merce non era stata dichiarata. Ritenevano inoltre di non averci guadagnato granché, visto che avevano acquistato le derrate alimentari non a prezzi particolarmente vantaggiosi, ma in linea con quelli offerti sul mercato. Tuttavia, secondo il Taf, il fatto che fossero in buona fede – cosa che peraltro i giudici non hanno messo in dubbio – "non ha alcuna importanza", si legge in una delle due sentenze datate 17 ottobre 2022. A essere "determinante" è invece il fatto che le due attività hanno agito in qualità di mandante: di conseguenza sono solidalmente debitrici dei dazi doganali e dell’Iva sull’importazione delle merci, al pari dell’intermediario, al quale potranno eventualmente richiedere la somma dell’importo pagato. Insomma, le due attività sono tenute "a pagare l’imposta pur non essendo a conoscenza dell’obbligo di dichiarare le merci e pur non traendo alcun vantaggio personale dalle infrazioni commesse". I giudici di San Gallo hanno dunque respinto i ricorsi. Le due società potranno, se lo riterranno opportuno, rivolgersi al Tribunale federale di Losanna.
Se da un lato le società in questione agivano in buona fede, lo stesso non si può dire dell’intermediario, al tempo dei fatti titolare e gerente di una ditta individuale, che tra gennaio 2016 e gennaio 2017 ha di fatto contrabbandato quasi 31mila kg di salumi e formaggi. Proprio a inizio 2017, durante un controllo doganale a Ligornetto, le guardie di confine avevano trovato sul furgone targato Ticino del cittadino italiano oltre 500 kg di derrate alimentari appena importate dall’Italia in Svizzera senza essere state dichiarate. Da quanto si apprende dalle due sentenze, l’uomo, almeno in quell’occasione, si faceva aiutare dalla moglie (domiciliata in Italia) che ha attraversato il valico di Novazzano a piedi, verificando che non fosse sorvegliato. Una volta avvertito telefonicamente il marito, quest’ultimo aveva attraversato il confine posteggiando il furgone nei dintorni del fermo, dove peraltro è stata scoperta anche una cella frigorifera utilizzata per immagazzinare i prodotti destinati a clienti in tutta la Confederazione. Secondo i calcoli dell’Afd, in un anno l’uomo avrebbe così eluso il pagamento di oltre 280mila franchi fra tributi doganali e Iva sull’importazione.
Fra i clienti vi erano anche le due società ticinesi che nel marzo del 2021 si sono viste recapitare dall’Afd l’intimazione al pagamento posticipato delle imposte non versate. Infatti, dalle verifiche della documentazione contabile delle due società, è emerso che, durante il periodo incriminato, hanno "comandato, pagato e ricevuto in consegna i prodotti provenienti dall’Italia e mai sottoposti al trattamento doganale prescritto dalla legge", afferma il Taf in entrambe le sentenze. Concretamente stiamo parlando di oltre 257 kg per la Sagl con sede a Bellinzona e di quasi 4’085 kg per il negozio di Locarno fra prosciutto cotto e crudo, bresaola, coppa, salame, guanciale, così come burrata, mozzarella di bufala, grana padano, gorgonzola, taleggio, pecorino e così via. Le due ditte hanno quindi presentato dei ricorsi distinti nei quali chiedevano l’annullamento delle decisioni dell’Afd, sostenendo che da parte loro avessero rispettato la legge e che non potessero sapere della frode nei confronti delle autorità doganali: l’impresa gestita dall’intermediario emetteva sempre una regolare fattura Iva compresa ed era quindi impossibile, secondo i ricorrenti, rendersi conto che la merce "non fosse stata sdoganata". A ciò va poi aggiunto che i prezzi non divergevano "sostanzialmente da quelli operanti da commercianti all’ingrosso attivi in Ticino". Come detto, però, per i giudici di San Gallo ciò poco importa, visto che le due società ticinesi vengono identificate quali mandanti e quindi sono entrambe solidalmente debitori dei dazi doganali e Iva, così come il contrabbandiere. E proprio da questa solidarietà deriva "la possibilità per le autorità doganali di riscuotere l’importo dei tributi non pagati presso tutti i debitori dell’obbligazione doganale".