Il medico cantonale Giorgio Merlani commenta la decisione di rispolverare l’obbligo della mascherina nelle strutture sanitarie e sociosanitarie
«L’ultima modifica alle direttive per le strutture sanitarie e sociosanitarie ticinesi risaliva alla scorsa primavera, e prevedeva l’obbligo della mascherina, tanto per il personale curante quanto per i visitatori, unicamente nel contatto diretto e stretto. In altre parole, visitando il paziente, il medico era tenuto a indossarla correttamente, mentre non vi era alcun obbligo ad esempio per le riunioni di reparto o camminando nei corridoi; discorso analogo per i visitatori, un po’ sulla falsariga di quello che avveniva in uno studio medico», spiega il medico cantonale Giorgio Merlani. Dettate le ‘regole’ di base, poi, ogni struttura era libera di decidere se andare oltre, imponendo magari l’obbligo generalizzato, cosa effettivamente fatta negli ultimi mesi, o settimane, in gran parte delle strutture.
Adesso, però, queste ‘regole’ sono dunque cambiate: da subito infatti il Dipartimento della sanità e della socialità, per il tramite dell’Ufficio del medico cantonale, ha infatti disposto la reintroduzione dell’obbligo generalizzato della mascherina nelle strutture sanitarie e sociosanitarie ticinesi. «Misure che valgono tanto per il personale medico quanto per i visitatori, mentre per i pazienti, ovviamente, dipende da caso a caso».
Esclusi dalle nuove direttive gli studi medici: «Stiamo effettivamente discutendo la questione con il farmacista cantonale e gli altri colleghi, per capire se eventualmente intervenire anche lì, ma allo stadio attuale, a ogni buon conto, per farmacie e studi medici non cambia nulla: a fare stato continuano a essere le direttive di aprile. Per recarsi dal medico, come pure in farmacia, in presenza di sintomi riconducibili a una possibile infezione da coronavirus, il paziente è tenuto a indossare la mascherina. Mentre in assenza di sintomi ‘sospetti’, attualmente il pazienze non è tenuto a portarla. Il personale, invece, è tenuto a indossarla nel contatto diretto».
La decisione di rivedere le disposizioni per le strutture sanitarie e sociosanitarie presenti sul territorio cantonale è, logicamente, una conseguenza diretta dell’impennata di contagi degli ultimi giorni, con le nuove infezioni settimanali aumentate di circa un migliaio di unità (da duemila a tremila circa, dati di mercoledì scorso). «Sì, anche perché una buona fetta dei contagi, circa il 20%, sono riconducibili a quelli che noi definiamo ’casi nosocomiali’, ossia gente infettatasi dopo essersi recata in ospedale per altri motivi, e che al suo interno è stata contagiata, da un paziente o da un’altra persona arrivata dall’esterno. Di fronte a questo dato abbiamo dunque deciso di intervenire con una prima misura per contenere i ‘casi nosocomiali’, necessaria tutto considerato, al fine di evitare un ulteriore sovraccarico delle strutture ospedaliere. Il concetto di fondo che ci ha spinti in questa direzione è quello con cui stiamo portando avanti da mesi la lotta al coronavirus: quello di proteggere le persone più fragili; o con la vaccinazione o, appunto, con misure come quelle decise oggi».