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Caduto il governo, slitta (ancora) l’accordo sui frontalieri

Con la fine anticipata della legislatura in Italia si bloccano tutti i dossier, compresa l’intesa italo-svizzera ferma al palo. In vigore forse dal 2024

Sempre fermi
(Ti-Press)
22 luglio 2022
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L’impegno era di dare il definitivo via libera all’accordo italo-svizzero sull’imposizione fiscale dei frontalieri, firmato il 23 dicembre dello scorso anno a Roma, prima della visita di Stato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in ottobre sarà a Berna. Un impegno che sembrava alla portata di mano del parlamento italiano, dopo che il 1° marzo le Camere federali hanno apposto il via libera da parte svizzera. Nessuno immaginava cosa sarebbe accaduto in questi ultimi giorni, con le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi e lo scioglimento del parlamento deciso da Mattarella.

Insomma, tutti a casa con il conseguente blocco dell’attività parlamentare e il blocco di tutti i provvedimenti legislativi all’esame di Camera e Senato. Quindi anche l’imposizione fiscale dei frontalieri che, a questo punto, sarà presa in esame dal nuovo parlamento che scaturirà dal voto del 25 settembre. Fare previsioni su quando potrà riprendere l’esame dell’accordo italo-svizzero è esercizio accademico difficile da fare. Ora come ora l’unico dato certo è che non entrerà in vigore il prossimo 1° gennaio 2023, come previsto dalla tabella di marcia. Uno stop che per quanto è dato sapere dovrebbe essere l’unica comunicazione ufficiale sull’asse Roma-Berna. Per il resto è tutto in alto mare.

Probabile lo slittamento di un anno

Probabilmente ci sarà lo slittamento di un anno. Una previsione che ovviamente dovrà essere concordata con Berna, che i propri compiti a casa li ha eseguiti senza tentennamenti. È Roma che, chiamata a legiferare su aspetti di competenza unicamente italiana, come ad esempio la franchigia riconosciuta ai frontalieri per alleggerire il peso della nuova fiscalità, ha continuamente incespicato, come è accaduto lo scorso giugno in Commissione esteri del Senato, a causa del presidente (allora in carica), il putiniano di ferro Vito Petrocelli, poi dimissionato a seguito dell’abbandono di tutti gli altri commissari. L’elezione di Stefania Craxi sembrava aver impresso la marcia giusta per arrivare alla approvazione da parte di entrambi i rami del parlamento dell’accordo italo-svizzero alla ripresa in settembre. Quello che si prospetta, invece, è un mese di settembre in cui i partiti italiani avranno altro a cui pensare. Cosa che però hanno già incominciato a fare, essendo già iniziata la campagna elettorale.

Le principali novità dell’accordo

Sono due le novità di maggior rilievo in questa intesa che aspetta (ancora) il via libera da parte italiana. Innanzitutto nulla cambia per i frontalieri attualmente occupati nei tre Cantoni svizzeri di confine (Ticino, Grigioni e Vallese). Continueranno a pagare unicamente in Svizzera. Mentre per i frontalieri che saranno assunti dopo l’entrata in vigore della nuova imposizione fiscale (1° gennaio 2024 e non più 1° gennaio 2023, data impossibile per la crisi politica in Italia) pagheranno un’imposta fiscale in Svizzera che non potrà eccedere l’80 per cento. Futuri frontalieri che, novità di grande rilievo saranno tassati anche in Italia, per cui pagheranno più tasse rispetto ai frontalieri di vecchia data. Ecco, quindi, la necessità di una corposa franchigia. L’altra novità è che per i dieci anni successivi all’entrata in vigore dalla nuova imposizione fiscale i Comuni italiani di frontiera continueranno a ricevere i ristorni dalla Svizzera. Sarà poi lo Stato italiano a finanziare i comuni sulla ramina.

Massimo Mastromarino: ‘Molta amarezza, crisi di governo atto poco responsabile’

Insomma, la data del 1° gennaio 2023 è davvero un miraggio? «Probabilmente sì», risponde sconsolato e «con molta, molta amarezza» da noi raggiunto Massimo Mastromarino, sindaco di Lavena Ponte Tresa e presidente dell’Associazione comuni italiani di frontiera. «L’iter commissionale del dossier era a un passo dal concludersi per poi approdare al Senato ed essere approvato. Credo che questo tema, non essendo considerato tra le cose ordinarie, gli affari correnti, slitterà alla nuova legislatura e non so se ci sarà il tempo, al momento in cui tutto ripartirà, per fare in un colpo solo il passaggio al Senato e la ratifica finale alla Camera», spiega Mastromarino.

Che lo vedeva delinearsi all’orizzonte questo stop, quando la maggioranza di governo ha cominciato a scricchiolare: «Uno dei motivi per cui ero uno dei sindaci firmatari dell’appello affinché il governo di Mario Draghi andasse avanti era proprio questo: in un simile momento l’Italia non può permettersi una crisi di governo sia perché rallenta molti dossier importanti a livello nazionale e internazionale, sia perché ferma anche dossier che interessano il territorio come questo accordo figlio del lavoro di due Stati che, insieme e con molta fatica e dedizione, hanno raggiunto. Considero questo un atto poco responsabile».

‘Preparerò un memorandum che chiunque vorrà candidarsi dovrà far proprio’

Non si può che guardare al futuro, per la ratifica definitiva di questo accordo che assume sempre più i connotati del masso di Sisifo. E il sindaco Mastromarino è chiaro: «Sarà mia cura preparare un memorandum dei punti principali di questo accordo che chi nei vari partiti si candiderà a rappresentare il nostro territorio di confine dovrà necessariamente portare avanti». Un territorio che «aveva fatto uno sforzo importante, e dobbiamo andarne fieri. Speriamo che il nuovo parlamento mantenga gli impegni che abbiamo preso con la Svizzera, che in questa occasione ha dimostrato di essere molto più precisa, puntuale e di parola rispetto a noi».