Filippini: ‘Sentiremo detenuta e personale’. Laffranchini: ‘Riteniamo di aver agito correttamente facendo tutto il possibile date le circostanze’
Tutto è bene ciò che finisce bene: mamma e bimbo non presentano problemi fisici, sono seguiti dal servizio medico e dagli agenti di custodia. Tuttavia sul parto, di cui ha riferito in mattinata il sito della ‘Rsi’, avvenuto giovedì scorso al carcere giudiziario luganese della Farera, nella cella in cui è rinchiusa da più o meno un mese mezzo la donna – una trentenne cittadina bulgara accusata in Svizzera di furto – che ha dato alla luce il suo terzo figlio, la speciale commissione del Gran Consiglio che sorveglia sulle condizioni di detenzione nel cantone vuole vederci chiaro, per rispondere in fondo a una semplice domanda: per quale o quali motivi il parto, avvenuto pare con circa una settimana di anticipo, non si è svolto, o non ha potuto svolgersi, in una struttura ospedaliera, dunque in una struttura sanitaria appositamente attrezzata anche per questo tipo di eventi? Una delegazione della commissione si recherà domattina in carcere.
«Appresa la notizia, ci siamo subito attivati – dice la presidente, la deputata democentrista Lara Filippini, da noi interpellata –. Si è così deciso di non perdere tempo e di organizzare per domani un sopralluogo alla Farera, dove – prosegue la responsabile della commissione parlamentare – sentiremo la donna e il personale del carcere che era presente al parto. Non voglio e non vogliamo muovere critiche o rimproveri senza prima aver accertato come sono accaduti i fatti. Prima di giungere a delle conclusioni, faremo dunque una serie di verifiche». La commissione intende agire con una certa celerità per non lasciare in sospeso interrogativi di sorta e ha così organizzato per le prossime ore la trasferta al carcere giudiziario. «Per quanto ci riguarda – afferma, contattato dalla ‘Regione’, il direttore delle Strutture carcerarie cantonali Stefano Laffranchini – riteniamo di aver agito correttamente e di aver fatto tutto il possibile date le circostanze. Ora – continua Laffranchini – è giusto e opportuno che la commissione del Gran Consiglio faccia il suo lavoro e verifichi i fatti. Come Strutture detentive, ricordo che siamo tenuti a incarcerare le persone delle quali il Ministero pubblico dispone l’arresto, adottando ovviamente tutte quelle misure che rendano compatibile la detenzione con lo stato di salute fisica e mentale di queste persone».
Circostanze davvero particolari quelle cui allude Laffranchini. Finita dietro le sbarre nell’ambito di un’inchiesta su reati contro il patrimonio coordinata dalla procuratrice pubblica Marisa Alfier, la donna straniera è in detenzione preventiva in attesa che venga terminata l’istruttoria a suo carico. In Svizzera, a differenza per esempio dell’Italia, la gravidanza non è motivo di incarcerabilità. Mercoledì della scorsa settimana la cittadina bulgara ha accusato dei disturbi ed è stata portata al Pronto soccorso del Civico. Come racconta la dottoressa Teresa Salamone, capo Servizio medicina penitenziaria Eoc (Ente ospedaliero cantonale), quando la donna è arrivata presso le strutture carcerarie in stato di gravidanza, come da prassi sono state attivate le varie visite ginecologiche programmate presso l’ospedale. «Il termine era previsto nei primi dieci giorni di luglio – spiega Salamone –, ma mercoledì la signora ha avuto un po’ di dolori ed è appunto stata accompagnata in Pronto soccorso. I ginecologi l’hanno visitata, però non hanno ritenuto necessario ricoverarla in quanto non sembrava imminente il parto. Come una qualsiasi altra paziente in una situazione simile, è stata rimandata al domicilio, in questo caso in carcere».
«L’indomani la donna ha iniziato ad avere qualche fastidio – ricostruisce la dottoressa – ma solo nel pomeriggio ha manifestato le prime contrazioni importanti». A quel punto gli infermieri sul posto si sono resi conto che era avvenuta la rottura delle acque e hanno chiamato l’ambulanza. «Nel frattempo però la signora ha partorito. Essendo al terzo figlio, come non di rado accade, il travaglio è stato rapido». Molto rapido: «È durato circa mezz’ora». Intanto gli infermieri si sono attivati per fare il necessario: «Hanno eseguito il monitoraggio della mamma e dopo l’espulsione, che è avvenuta naturalmente senza bisogno di manovre, si sono premurati di fare le prime visite del bimbo, misurandone i parametri vitali». Una volta arrivata l’ambulanza è stato organizzato il trasporto in ospedale, dove mamma e bebè sono stati trattenuti per qualche giorno in più «al fine di predisporre tutto per il loro arrivo in carcere, come già previsto, con la culla, il latte, gli indumenti. La signora è rientrata oggi, ed entrambi stanno bene».
Dal profilo organizzativo per Salamone «la gestione è stata ottimale. Si è trattato di un evento rapido, non prevedibile. Normalmente, quando una donna entra nel termine, facciamo dei controlli ogni 48 ore e in caso di doglie la mandiamo in ospedale. In questo caso eravamo in anticipo e la fase di travaglio è stata notevolmente corta». In tutti i casi, rileva la dottoressa, «abbiamo un servizio medico-infermieristico che ha tutte le competenze per poter gestire anche le urgenze. Se fosse capitato qualcosa di acuto saremmo stati pronti ad affrontarlo».
Ma come vengono decisi i ricoveri in ospedale? «Il servizio medico-infermieristico ha pieno spazio di manovra – spiega Salamone –. Nel caso in cui valutiamo la necessità di mandare una persona detenuta in ospedale, lo facciamo senza temere che qualcuno blocchi la decisione. Gli agenti poi si occupano di avvisare chi di dovere, che sia il procuratore, il giudice, l’avvocato o le persona di riferimento per la parte giudiziaria. Ma, ripeto, dal punto di vista medico lavoriamo in totale autonomia. Un’autonomia che non tutti i servizi analoghi delle altre carceri in Svizzera hanno».