Greta Gysin (Verdi) presenta cinque atti a Berna: dal sociale al rispetto per le vittime di violenze, passando per la pink tax: ‘Un assurdo sovrapprezzo’
«Serve un vero cambio di paradigma a livello politico e sociale, perché certi problemi non nascono né muoiono l’8 marzo. Questa è una data simbolica, per attirare l’attenzione su determinati problemi che toccano in maniera particolare le donne. Non basta tematizzare la Giornata internazionale per i diritti delle donne né tanto meno regalare mimose: ci vogliono azioni e interventi concreti, che valgano tutto l’anno». A esserne convinta, a colloquio con ‘laRegione’, è la consigliera nazionale dei Verdi Greta Gysin che, proprio oggi, inoltrerà al Consiglio federale ben cinque atti parlamentari che abbracciano vari ambiti, dal sociale al rispetto per le vittime di violenze fisiche, psicologiche e sessuali, dalla tutela delle richiedenti l’asilo alla formazione delle figure professionali per evitare la vittimizzazione secondaria o terziaria di chi subisce reati sessuali.
Il primo atto è un postulato con cui Gysin chiede al governo di ponderare il calcolo del fabbisogno in base al genere. Vale a dire calcolare e considerare la cosiddetta ‘Pink tax’, allo studio in diversi Paesi del mondo, che attesta come gli stessi identici prodotti se rivolti alle donne hanno costi notevolmente maggiori rispetto a quelli per gli uomini. «Una donna ha già costi specifici maggiori, come i prodotti per l’igiene femminile o i contraccettivi, e in più si trova confrontata col fatto che spesso un articolo costa di più se confezionato di colore rosa!», sottolinea la deputata al Nazionale dei Verdi. Che spiega la questione con un esempio concreto: «Illuminanti sono i reparti dei prodotti cosmetici: ad esempio ho notato che le lamette per depilazione femminile costavano il 30% in più di quelle maschili. E questo nonostante avessero una lametta in meno! Un’ingiustizia, un ‘sovrapprezzo per donne’ ingiustificabile e discriminatorio».
Ma anche uscendo dal reparto cosmesi il problema è presente, anzi, si allarga: «In molti Paesi diversi studi negli ultimi dieci anni hanno mostrato differenze di prezzo tra il 7 e il 37%, e a essere toccati sono davvero tutti i settori dove esistono prodotti differenziati per genere: giochi per l’infanzia, prodotti igienici, capi d’abbigliamento e accessori, servizi come parrucchieri o lavanderie». E quindi, che fare? Intervenire con una sorta di calmiere? «No, in un’economia liberale un intervento diretto dello Stato nella politica dei prezzi è impensabile e nemmeno desiderabile. Resta però il fatto che essere donna costa di più che essere uomo. Un’ingiustizia dell’economia, di cui lo Stato dovrebbe tenere conto perlomeno quando si tratta di calcolare un fabbisogno, ad esempio per stabilire il minimo vitale o per l’ammontare degli alimenti».
Il secondo e il terzo atto, una mozione e un’interpellanza dal contenuto molto simile, aprono un tema delicato: il rapporto tra media e processi dove le vittime sono persone che hanno subito violenze, soprattutto sessuali. Fondamentalmente, Gysin chiede di «intervenire negli articoli 70 e 72 del Codice di procedura penale garantendo il diritto della vittima di pretendere che il processo si svolga, oltreché a porte chiuse per il pubblico, pure senza i media a riferirne, come già avviene in alcuni cantoni».
Tema delicato, si diceva. Perché se da un lato c’è il sacrosanto diritto di una vittima a tutelare la propria privacy, c’è anche il tema della pubblicità dei processi e del fatto che riportare i dibattimenti sulla stampa, con tutti i vincoli di legge, è anche garantire la trasparenza della giustizia. Soprattutto, ma non solo, se il processo è indiziario. Non sono sufficienti tutti i vincoli cui un cronista già deve sottostare a livello di legge e deontologia? «No», risponde secca Gysin. Che spiega: «Purtroppo l’esperienza ha mostrato come molto spesso i media non operino con la giusta sensibilità di fronte a casi estremamente delicati come la violenza sessuale. Ci sono tanti esempi di procedure - continua la deputata dei Verdi alla Camera bassa -, in cui nella cronaca si sono potuti leggere dettagli molto intimi che più che con l’interesse pubblico, hanno a che fare col voyeurismo».
E con il diritto di cronaca e di riferire al pubblico come la si mette? «Ne riconosco l’importanza, ci mancherebbe altro - risponde Gysin -, ma va ponderato con la protezione della sfera privata della vittima, che attualmente non è sufficientemente garantita. L’iter che porta a un processo è lungo, estenuante, caro. In Tribunale vengono nuovamente tematizzate le violenze e i torti subiti, a volte la vittima deve testimoniare. Non è facile farlo davanti a una corte, figuriamoci se sono presenti anche i media. Se una vittima si sente inibita deve poter chiedere senza bisogno di giustificarsi e senza che la corte debba decidere in merito, che il processo si svolga a porte chiuse, anche per i media». A maggior ragione perché «coi social e con internet, incrociando informazioni, dati e fatti, è sempre più facile risalire alle persone coinvolte. E a tutto questo - sottolinea Gysin - si aggiunge che l’eco mediatica può essere considerata un’attenuante, che porta a una riduzione della pena. Comprensibile forse dal punto di vista giuridico, ma per la vittima è un ulteriore schiaffo». Vittime che «in larghissima parte (90%!) nemmeno denunciano, quando subiscono una violenza. A chi trova il coraggio di denunciare è dovuto il sostegno necessario, non ulteriori difficoltà lungo il cammino. Da oltre 20 anni ci sarebbero leggi svizzere e internazionali a sancirlo, ma nei fatti non è così».
Il quarto atto, un’altra interpellanza, si inserisce nel percorso perché «chiedo che venga effettivamente garantito che tutte le persone che hanno a che fare con vittime di reati sessuali siano formate per evitare il fenomeno della vittimizzazione secondaria o terziaria, ed evitare che questa persona subisca altri traumi. Ad aprile la Convenzione di Istanbul sarà in vigore da quattro anni, e la Svizzera non ha ancora fatto abbastanza per attuarla. Penso soprattutto alla formazione di chi si occupa delle varie fasi dei procedimenti, ma anche quella dei rappresentanti dei media che ne riferiscono».
A conclusione del pacchetto di atti parlamentari che arriveranno oggi sul tavolo del Consiglio federale, Gysin chiede anche, con un’interpellanza, che nel decidere in materia di accoglienza e ammissione di migranti, richieste di asilo, rimpatri forzati o respingimenti «la Segreteria di Stato della migrazione tenga in debita considerazione i rischi e le condizioni di vita specifiche per donne e ragazze nei Paesi in cui verrebbero rimpatriate o respinte così come richiederebbe l’articolo 3 della Legge federale sull’asilo».
In occasione della Giornata internazionale della donna anche i Verdi del Ticino fanno sentire la propria voce. Con un’interrogazione al Consiglio di Stato, prima firmataria la deputata Cristina Gardenghi, affermano che "come ci insegna la Convenzione di Istanbul, purtroppo la violenza nei confronti delle donne ha molte facce e si produce in molti luoghi e situazioni diverse, anche al di fuori delle mura di casa o di una relazione". Un esempio, scrive Gardenghi, "sono le molestie e i comportamenti persecutori (stalking) subiti da molte donne nella loro vita quotidiana anche da parte di semplici conoscenti o persino da sconosciuti". Atti che vengono subiti ma che, ricorda la granconsigliera dei Verdi, "molto spesso non possono essere ricondotti a fattispecie specifiche o non raggiungono un’intensità tale da costituire dei reati secondo il diritto vigente (...). Tuttavia, provocano comunque reazioni psichiche e fisiche nella vittima, come insicurezza, disagio, paura, disturbi del sonno e crisi di panico, che alla lunga si acuiscono e possono causare patologie gravi".
Quindi, i Verdi chiedono al governo come vengono gestiti questi casi in Ticino, con quali procedure e con l’attivazione di quali organi; se esiste un apparato che permetta di prestare assistenza alle vittime di queste situazioni (non per forza giudicate reati) e, se no, se il Consiglio di Stato intende impostare una riflessione in questo senso, "magari ampliando gli scopi del piano d’azione cantonale per contrastare la violenza domestica". Inoltre, dopo aver chiesto se in Ticino c’è un luogo dove le informazioni relative a queste fattispecie possano essere centralizzate, si chiede al governo se stia svolgendo una riflessione sulla possibilità di introdurre, come già avvenuto in altri Cantoni, una gestione cantonale delle minacce, "ossia una collaborazione interdisciplinare di tutti i servizi competenti per una conduzione coordinata dei casi di violenza e di minaccia".
Intanto, la rete ‘Nateil14giugno’ scrive di un 8 marzo "contro la guerra, contro le violenze di ogni genere e contro le discriminazioni", invitando "le femministe di tutto il mondo a opporsi all‘occupazione militare in Ucraina". Il gruppo ’Io l’8 ogni giorno’, invece, ricorda l’appuntamento oggi alle 18 in Viale Stazione a Bellinzona, per una manifestazione contro la violenza e contro la guerra".