Lo studio dell’Osservatorio della vita politica regionale riflette sul numero crescente di astenuti e schede senza intestazione
«Il primo e il secondo partito in Ticino sono costituiti dai ‘senza partito’. Ovvero, rispettivamente, da chi non vota (40,7% degli aventi diritto, ndr) e da chi vota senza intestazione di partito (19,7% delle schede al Consiglio di Stato)». Ma c’è di più, nota Oscar Mazzoleni: «L’astensionismo, spesso trattato come un ‘problema civico’ trasversale a tutti i partiti, alle elezioni cantonali del 2019 ha penalizzato più la destra della sinistra: ad allontanarsi dalle urne è stato soprattutto chi nel 2015 aveva votato la Lega e chi si sentiva di destra». Mazzoleni, professore titolare di Scienza politica e direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale presso l’Università di Losanna, ha analizzato insieme al collega Andrea Pilotti un sondaggio realizzato presso oltre 1’400 cittadini ticinesi dopo il voto del 2019, che insieme a quello del 2011 passerà alla storia per «la partecipazione più bassa dal lontano 1921, 59,3% degli aventi diritto e meno 3% rispetto alla tornata precedente: una crescita che neppure il voto per corrispondenza – utilizzato dal 90% dei votanti – è riuscito a contrastare».
Il profilo degli astenuti è mutevole – «dai giovani in formazione alle persone escluse dal mercato di lavoro» –, ma simile a quello di chi vota senza intestazione, e «riflette soprattutto condizioni socioeconomiche non sempre facili e alle volte di emarginazione: parliamo di apprendisti, impiegati e operai anche disoccupati, comunque poco o per nulla soddisfatti del proprio reddito, che si dichiarano indifferenti alla politica e con poca familiarità verso candidati e partiti. La loro delusione si traduce in una sorta di sindrome di distacco dalla politica», riflette Mazzoleni. Nemmeno la Lega, ormai solidamente accomodata in governo come partito di maggioranza relativa, riesce più a mietere il raccolto della loro rabbia e delusione come ai ‘bei tempi’ delle occupazioni autostradali: il potere logora chi ce l’ha – vale naturalmente anche per i partiti borghesi – con buona pace di Giulio Andreotti. Semmai «si nota un travaso dai partiti di governo a quelli esterni: l’Udc a destra e i Verdi a sinistra».
Si distingue anche una crescente personalizzazione della politica: «A prescindere dal fatto che ormai a votare il partito con la cosiddetta ‘scheda secca’ è appena il 7% degli elettori, il sondaggio dei voti preferenziali mostra la propensione a privilegiare la persona, mentre il partito appare, nella fase elettorale, come ente ‘a rimorchio’ o al massimo come promotore dei candidati; lo si vede bene quando i nomi dei candidati primeggiano sul simbolo del partito». Il problema è la discrepanza tra la campagna elettorale – dove contano soprattutto per le persone – e un funzionamento parlamentare e commissionale che riconduce parecchio alle tradizionali logiche di partito, «rischiando di generare ulteriore delusione per la discrepanza percepita tra le scelte dei cittadini e le dinamiche interne alla politica istituzionale». D’altro canto, aggiunge Mazzoleni, «proprio il sistema proporzionale e l’equilibrio di forze al suo interno tende a smorzare eventuali fughe in avanti in senso populista o leaderista, riducendo il rischio che chi sa cavalcare il malcontento prenda il sopravvento nelle istituzioni».
All’indebolimento dei rapporti tra elettori e partiti, secondo Mazzoleni, contribuisce anche l’evoluzione del sistema mediatico: «Un tempo i partiti avevano il controllo diretto della comunicazione politica, sia attraverso le loro testate, sia attraverso il dialogo diretto delle sezioni locali col territorio. Poi i media si sono emancipati, finendo in certi casi per dettare l’agenda politica. Infine sono arrivati i social, che hanno fatto ‘esplodere’ la comunicazione istituzionale in una cacofonia di voci diverse. Le difficoltà comunicative dei partiti rischiano inoltre di essere esacerbate alle prossime tornate elettorali: non si possono fare previsioni, ma è chiaro che i due anni di pandemia potrebbero penalizzare ancora di più le possibilità di mobilitazione e di partecipazione. Il periodo», conclude Mazzoleni, «non è roseo per i partiti. L’astensione e la personalizzazione del voto, oltre a erodere la base di legittimazione dell’intero sistema politico, possono contribuire a cambiare nuovamente gli equilibri politici. Sappiamo che possono bastare pochi cambi percentuali per determinare esiti significativamente diversi».