Tra gli imputati per un vasto giro di commercio illegale di oro ci sono anche quattro ticinesi e sei comaschi, tutti sono residenti in Svizzera.
Quando i cavilli si mettono di traverso inceppando il funzionamento della giustizia. Un clamoroso esempio lo si è registrato nei giorni scorsi in Tribunale a Como dove per la mancata notifica a un legale (peraltro presente in aula) ha spinto il giudice delle udienze preliminare a mandare tutti a casa e ad aggiornare il processo di quasi un mese, con il rischio di mandare in fumo un vasta inchiesta della Procura lariana su un maxi riciclaggio di denaro, oro e gioielli.
Un processo tornato a Como nell’agosto scorso dopo un incredibile giro in sette palazzi di giustizia italiani per via di un conflitto di competenza territoriale. A porre fine al rimpallo ci ha pensato la Corte di Cassazione rimandando l’intero fascicolo di Como. Sotto processo 27 imputati accusati a vario titolo di riciclaggio e commercio di oro non autorizzato e riciclaggio di denaro (complessivamente 15 milioni di euro) in quanto proveniente da reati fiscali, quali bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale. Per otto di loro, fra cui due ticinesi, la Procura di Como contesta l’aggravante dell’associazione a delinquere. Complessivamente i ticinesi imputati sono quattro, mentre sei comaschi risiedono in Ticino. Uno di loro, residente a Lugano, arrestato mentre ritirava rottami di oro grezzo, per un peso complessivo di sette chilogrammi, valore 270 mila euro, è uscito dal processo avendo patteggiato tre anni in sede stragiudiziale.
Nel corso dell’inchiesta del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Como, iniziata nel luglio 2015 e terminata nel giugno 2017, le ‘fiamme gialle’ hanno sequestrato 25 chilogrammi di oro (17 a Roma, sette a Milano e uno a Grandate), sei di argento, 299 monili (a Valenza Po), 2,2 milioni di euro e 576mia franchi. Fra gli accusati del reato associativo ci sono un ticinese di Pedrinate, un altro di Balerna e due italiani, padre e figlio residenti a Lugano. Tutti referenti di agenzie d’intermediazione finanziaria di cui due con agganci a Dubai e una banca di Lugano. Gli altri imputati sono per lo più comaschi, spalloni di valuta e oro, e clienti italiani con soldi in Ticino e interessati a farli rientrare in Italia. Fra di loro un procuratore di calciatori di serie A, accusato di essersi fatto consegnare da uno spallone 100 mila euro che aveva in banca a Lugano, e un noto personaggio ligure, secondo azionista di Carige (Cassa di risparmio di Genova), nonché ricchissimo imprenditore della logistica petrolifera in Nigeria. A quest’ultimo il magistrato inquirente Fadda gli contesta due rientri clandestini di valuta (250mila e 45mila euro), risorse che “erano state in precedenza esportate clandestinamente”, per essere depositati in un istituto di credito in riva al Ceresio.