È quanto emerge dall’indagine Silc dell’Ufficio federale di statistica. Le risposte dei parlanti italiano sono in linea con quelle nazionali
L’acronimo inglese Silc sta per Statistics on income and living conditions, ovvero statistica sui redditi e sulle condizioni di vita. Un’indagine che ha lo scopo di studiare la distribuzione dei redditi, la povertà, l’esclusione sociale e le condizioni di vita per mezzo di indicatori confrontabili a livello europeo. L’approccio metodologico è però definito sperimentale ovvero sull’autovalutazione delle persone, in questo caso un campione ridotto di economie domestiche. L’Ufficio federale di statistica (Ust) ha reso noti i risultati, appunto sperimentali, sul periodo della pandemia di Covid nella prima metà del 2021.
Ebbene, il dato che emerge è che il 20% della popolazione svizzera è stato confrontato con diminuzioni reddituali negli ultimi dodici mesi. La metà di questi (l’11,3%) indica la pandemia di Covid come causa principale di questa diminuzione. Pandemia che ha spesso generato perdite a chi era svantaggiato già prima della crisi sanitaria: chi era occupato nei servizi di alloggio e ristorazione (35,5%), chi aveva redditi bassi (19,5%) e gli stranieri (16,7%). L’indagine Silc, che non ha la precisione di un’analisi statistica classica fondata su fonti di dati consolidati, non riporta i risultati per i singoli cantoni ma solo la lingua madre in cui è stata svolta l’intervista. Rimanendo alla sola autovalutazione della diminuzione del reddito emerge che la percezione del calo tra i parlanti italiano (si può dedurre che corrispondano quasi integralmente ai ticinesi) c’è stato. È però rimasto sotto la media svizzera sia per quanto riguarda la diminuzione in generale negli ultimi 12 mesi (circa il 15%, la media svizzera è del 20%, ndr), sia per il calo imputabile alla pandemia (il 9% circa contro l’11,3% nazionale). Sono di più i rispondenti in lingua francese coloro che hanno visto le entrate calare maggiormente: il 22% circa indica una diminuzione generale e il 15% la mette in relazione alla pandemia. L’intervallo di confidenza di questi risultati è però del 95%. Questo vuol dire che il margine di errore della stima è più elevata.
Tuttavia, si spiega ancora nella nota dell’Ust, tra il 2019 e il 2021 la quota di persone che sono riuscite facilmente o molto facilmente a sbarcare il lunario è aumentata dal 48,4 al 57,9%, quasi dieci punti percentuali in più. “Ciò si spiega, oltre che per un generale calo dei consumi, anche perché nel periodo in rassegna si è più spesso rinunciato ad attività ricreative, come andare al ristorante oppure praticare attività sportive o culturali”, si legge.
Un dato che sorprende è l’aumentato senso di sicurezza verso l’impiego. All’inizio della crisi sanitaria sono state manifestate preoccupazioni in merito alla situazione finanziaria futura, in particolare ci si è sentiti molto meno sicuri del posto di lavoro.
Dopo un forte peggioramento durante il confinamento parziale del 2020, la percezione soggettiva della sicurezza dell’impiego è di nuovo migliorata. A livello nazionale la quota della popolazione occupata che valuta molto basso il rischio di perdere il posto di lavoro è salita dal 53,5% durante il primo lockdown al 60,5% nel 2021, pur rimanendo significativamente al di sotto del livello del 2019 (64,6%).
Gli intervistati in lingua italiana hanno affermato che il sentimento di sicurezza è addirittura aumentato. Nel 2019 questo sentimento era di circa il 53%, per salire al 60% prima del confinamento parziale del 2020 e scendere al 50% durante il primo lockdown. Un dato che è poi salito quasi al 60% nel 2021.
La pandemia ha avuto anche effetti sul morale della popolazione, in particolare tra i giovani. Il 40,2% ha indicato che nella prima metà del 2021 ha percepito ripercussioni negative. La quota si è rivelata particolarmente elevata per le persone tra i 16 e i 24 anni (55,1%), per quelle con una formazione universitaria (44,8%) e per coloro con un reddito autovalutato elevato (45,1%). La crisi sanitaria ha invece avuto meno effetti negativi sul morale delle persone residenti in zone scarsamente popolate (36,4%) e di quelle di oltre 65 anni (26%). Gli intervistati in lingua italiana hanno percepito maggiormente questo disagio: oltre il 43%, la quota più alta di tutta la Svizzera.