Il direttore della Supsi Franco Gervasoni: ‘Il diritto all’istruzione è sacrosanto, ma lo è anche quello di offrire una formazione di qualità’
«Il nostro auspicio è che la Confederazione continui a finanziare i test Covid oltre la data del prossimo 1° di ottobre, in modo che gli studenti che non hanno ancora completato il ciclo vaccinale e risultino negativi possano frequentare le lezioni senza pregiudizio», così Franco Gervasoni, direttore della Supsi.
Dal 20 di settembre la Scuola universitaria della Svizzera italiana, al pari di tutte le sue omologhe del resto del Paese, introdurrà l’obbligo del certificato Covid (avvenuta vaccinazione, guarigione dalla malattia, risultato negativo di un test) per poter frequentare tutte le attività della formazione di base e per l’accesso alle sedi delle collaboratrici e dei collaboratori. Una decisione presa in accordo con le autorità cantonali e in linea con le raccomandazioni di swissuniversities. «Siamo coscienti che questo potrebbe diventare un problema, per le persone non ancora vaccinate, quando i test saranno a pagamento. Del resto la Confederazione ha posto le università di fronte alla scelta di ridurre la capienza massima degli spazi didattici, o di garantirne l’accesso senza limitazioni ma unicamente alle persone provviste di Covid pass», continua Gervasoni. «Sono consapevole che il diritto all'istruzione è sacrosanto, però è altrettanto sacrosanto offrire una formazione di qualità e quindi non penalizzare coloro che – e sono la maggior parte – si sono immunizzati». «Capisco chi potrebbe obiettare, mi piacerebbe però sentire anche la voce dei vaccinati che sono magari contenti di poter tornare in presenza a svolgere delle attività didattiche piuttosto che farle tutti a distanza», continua ancora il direttore della Suspi che ribadisce la richiesta alle autorità federali di spostare di almeno di 4-6 settimane il termine per i test gratuiti.
Il Covid pass è però stato esteso – sempre dal 20 di settembre – anche ai docenti e a tutto il resto del personale non docente. «Abbiamo fatto un ragionamento di comunità. Non ci sembrava assolutamente equo e coerente pretenderlo dagli studenti e non dai docenti. E a cascata vi rientrano tutti: ricercatori e personale amministrativo. In fondo tutti frequentiamo gli stessi spazi», aggiunge Gervasoni.
Su questo punto il segretario del sindacato Vpod Raoul Ghisletta precisa che «esiste un contratto collettivo di lavoro per il personale amministrativo della Supsi, ma non siamo stati interpellati da essa». «Come fatto in altri ambiti, chiediamo che il tampone per chi non è vaccinato venga pagato dal datore di lavoro che l’ha richiesto».
I dettagli sull’implementazione dell’obbligo del certificato Covid verranno definiti nei prossimi giorni. Da lunedì 13 per gli eventi organizzati dalla Supsi in luoghi chiusi sarà obbligatorio presentare il pass, mentre per i corsi di formazione continua fino a 30 partecipanti il certificato non verrà richiesto, a condizione che le aule vengano occupate al massimo per i due terzi della loro capienza.
«Quella dell’insegnamento a distanza rimane comunque l’ultima ratio. L’alternativa all’insegnamento in presenza con il Covid pass è la didattica online che per una università professionalizzante come la nostra è limitante», commenta ancora Gervasoni che non si esprime sul fatto che l’Usi – unica in Svizzera – ha comunque deciso di non introdurre il certificato sanitario. «Noi siamo dislocati su più sedi e abbiamo aule più piccole. Loro hanno fatto valutazioni differenti perché hanno spazi più grandi»
Alla fine del mese di agosto Manuele Bertoli, consigliere di Stato e direttore del Dec aveva salutato con favore l’esenzione di scuole e università dall’obbligo di pass, dicendoci: “Non credo si possa confondere l’accesso alla ristorazione, ma anche ahimè a teatri, musei e altri luoghi culturali, al diritto di formarsi, che impone, pandemia permettendo, di garantire un accesso all’istruzione più libero possibile”.
Onorevole Bertoli, ha cambiato idea o è cambiata la situazione?
Rimango dell'avviso che l'ambito della formazione meriti una tutela particolare, ma la situazione è certamente cambiata. Il Consiglio federale, con scarso preavviso, ha imposto da lunedì alle scuole universitarie la scelta tra l’introduzione del certificato Covid e la limitazione a due terzi della capienza delle aule. A fronte di questa scelta obbligata ogni istituto, in base alla propria situazione logistica, ha optato per l'opzione meno dolorosa che permettesse di proseguire con le lezioni in presenza.
Come faranno gli studenti che a pochi giorni dalla ripresa delle lezioni non avranno tempo di vaccinarsi? E cosa è previsto quando, dal 1° ottobre, dovranno pagarsi i tamponi?
Il certificato Covid attesta l’avvenuta vaccinazione, la guarigione dalla malattia o il risultato negativo di un test. Chi non è né guarito né vaccinato, nonostante la possibilità sia data già da mesi, dovrà temporaneamente far capo ai tamponi e nel frattempo non tardare ad annunciarsi per poter concludere in tempi brevi il ciclo vaccinale. In alternativa, se qualcuno non può o non vuole vaccinarsi e non è disposto a eseguire i test, dovrà accordarsi con l'istituto per trovare soluzioni alternative, assumendosi però anche la responsabilità della sua scelta, che non potrà andare a discapito di tutti coloro che hanno fatto uno sforzo per restare in presenza. Il fatto che dal 1° ottobre i tamponi diventeranno a pagamento per le persone asintomatiche è sicuramente un ostacolo ulteriore per chi finora ha temporeggiato. Viste le nuove misure introdotte, sarebbe bene che la Confederazione valutasse di pagare i tamponi più a lungo.
Perché scelte diverse per Usi e Supsi?
Usi e Supsi hanno delle situazioni logistiche diversificate e hanno optato per scelte differenti tenuto conto delle rispettive situazioni, entrambe con il medesimo obiettivo di poter continuare con le lezioni in presenza.