Caso dei 5 pp preavvisati negativamente poi eletti, la Commissione di ricorso sulla magistratura dichiara irricevibili i loro ricorsi. Ma bacchetta il Cdm
Una trentina di righe. Che suonano come una bordata al Cdm, il Consiglio della magistratura. Una trentina di righe, fragorose. Sono quelle contenute in un paio delle sette pagine delle recenti sentenze della Commissione di ricorso sulla magistratura riguardanti le contestazioni dei cinque procuratori pubblici nei confronti dell’agire del Cdm, il Consiglio della magistratura, che lo scorso autunno aveva bocciato la loro ricandidatura a un nuovo mandato decennale con preavvisi insolitamente duri nei toni e nei contenuti. Preavvisi che una netta maggioranza del Gran Consiglio, autorità di nomina di pp e giudici, non ha seguito, ritenendo piuttosto claudicante la procedura adottata dal Cdm nel caso specifico e rieleggendo così i cinque inquirenti, assieme ai colleghi del Ministero pubblico che si erano ripresentati in occasione del rinnovo delle cariche. Era il dicembre 2020. Restavano però pendenti i ricorsi dei cinque procuratori: contro i preavvisi, considerati dagli interessati decisioni di destituzione dissimulata; e contro il rifiuto, da parte sempre del Cdm, di accesso agli atti sui quali quei preavvisi si sarebbero fondati. Ebbene, a distanza di mesi, la Commissione di ricorso sulla magistratura si è pronunciata, dichiarando “irricevibile” la censura concernente il preavviso e “divenuta priva di oggetto” quella relativa al rifiuto di accesso agli atti. Cinque sentenze, intimate la scorsa settimana ai cinque pp, al Consiglio della magistratura e al Gran Consiglio. Ricorsi giudicati dunque da un lato irricevibili e dall’altro privi di oggetto. Ma la Commissione di ricorso non risparmia critiche all’operato del Cdm.
Una trentina di reboanti righe nei verdetti. “Il Consiglio della magistratura deve rispettare i principi fondamentali garantiti dalla Costituzione federale, in particolare il diritto di essere sentito”, scrive la Commissione richiamando in proposito le sentenze del Tribunale federale (una del 2017, una del 2001 e una del 2007). “L’obbligo – ricorda la Commissione in termini generali – è peraltro esplicitamente previsto dall’articolo 81 capoverso 3 della Log (la Legge sull’organizzazione giudiziaria, ndr), secondo il quale nell’ambito di un procedimento disciplinare al magistrato inquisito deve essere garantita la facoltà di essere sentito, di consultare gli atti e di addurre prove”. Il diritto di essere sentito, aggiunge la Commissione di ricorso, “comprende l’accesso agli atti del procedimento e la possibilità di prendere posizione sul suo contenuto”.
Nel caso concreto “la procedura preparatoria in vista delle elezioni dei magistrati non è un procedimento disciplinare. Si tratta comunque pur sempre di un procedimento amministrativo, tanto è vero che il Consiglio della magistratura ha aperto un fascicolo apposito”, puntualizza la Commissione. “Ora, gli articoli 32 e 35 della LPAmm (la legge cantonale sulla procedura amministrativa, ndr) indicano a chiare lettere il contenuto del diritto di essere sentito in una procedura amministrativa – ricorda la Commissione –. Nel caso concreto è palese che il Consiglio della magistratura non ha seguito quanto prescritto dall’articolo 33 capoverso 2 LPAmm prima di rilasciare il preavviso dell’11 settembre 2020”. Di più: “Non convincono poi le giustificazioni addotte nello scritto” del Cdm “del 30 settembre 2020. I nomi e gli incarti figuranti nella documentazione erano noti” al/la ricorrente, “già per il fatto che si trattava di inchieste” da lui/lei “condotte nella sua funzione di pp, vincolata come tale dal segreto d’ufficio. Non si vede per quale motivo non trasmettere” al/la ricorrente “documenti su incarti” lui/lei “ben noti”. E ancora: “Le referenze chieste in modo informale a vari altri magistrati sull’attività” del/la ricorrente “sollevano invero diverse perplessità”. Il preavviso del Cdm “verte sulle qualità umane e professionali” del/la candidato/a “e in questo ambito è sensato assumere informazioni anche dai magistrati con i quali” il/la candidato/a è stato/a “in contatto per motivi professionali”: tuttavia, sottolinea la Commissione di ricorso, “tale modo di procedere deve avvenire in modo trasparente e formale, per garantire un corretto svolgimento della procedura di preparazione all’elezione”.
È lo scorso 11 settembre quando su Palazzo di giustizia comincia ad abbattersi una tempesta che non ha ancora esaurito la sua coda a quasi un anno di distanza. La notizia, anticipata da ‘laRegione’, è dirompente: in vista del rinnovo decennale del Ministero pubblico, per cinque pp su venti il Consiglio della magistratura, l’organo che vigila sul funzionamento dell’apparato giudiziario cantonale, il preavviso è negativo. Da quel momento, dal primo tuono del lungo temporale, la storia segue due binari: quello personale dei cinque pp, che iniziano immediatamente a chiedere lumi e di essere sentiti per far valere le proprie tesi, e quello politico. Perché i preavvisi - tutti, quelli negativi come quelli positivi - formulati dal Cdm finiscono sui banchi del Gran Consiglio per mezzo della sua commissione ‘Giustizia e diritti’. La strada che ha portato i pp Akbas, Alfier, Fumagalli, Lanzillo e Piffaretti-Lanz a essere comunque rieletti per il periodo 2021/2030 dal Gran Consiglio il 14 dicembre è stata tortuosa a dir poco. E lastricata di tanti silenzi. Come quello opposto dal Cdm il 30 settembre con il proprio diniego alla richiesta dei cinque pp preavvisati negativamente di avere accesso a dati e pareri all'origine della loro ‘bocciatura’. Diniego consegnato anche, due volte, alla commissione Giustizia e diritti. Commissione che riceve in audizione i cinque pp il 12 ottobre e che, per vederci più chiaro, chiede inoltre all’ex presidente del Tribunale federale Claude Rouiller un parere giuridico sui diritti procedurali dei magistrati candidati a una loro rielezione: insomma, se avevano o no diritto di essere sentiti dallo stesso Cdm che li aveva ‘bocciati’. Il 3 di novembre si ha notizia della perizia, che scolpisce il diritto dei magistrati a ricevere gli atti che li riguardano. Atti che, è storia di tre giorni dopo, il 6 novembre, vengono loro inviati dal Cdm.
Il 30 novembre, dopo diverse peripezie, l’ennesimo colpo di scena. La ‘Giustizia e diritti’ con il rapporto commissionale firmato dall’allora presidente Luca Pagani (Ppd), propone al plenum del Gran Consiglio l’elezione di tutti i 19 procuratori pubblici (il ventesimo uscente, Andrea Minesso, si era ritirato dalla corsa), compresi i cinque preavvisati negativamente dal Cdm. In calce al rapporto commissionale a mancare sono le firme degli esponenti del Plr: per i liberali radicali i preavvisi del Cdm in quanto autorità di vigilanza sul sistema giudiziario sono “sufficientemente validi” per non appoggiare la proposta di rieleggere anche i cinque pp ‘bocciati’.
Il 14 dicembre la parola fine, almeno sulla questione rinnovo delle cariche: con 57 sì e 21 schede bianche il plenum del Gran Consiglio segue l’indicazione della commissione e rinnova il mandato di tutti i procuratori pubblici uscenti.