Le deduzioni professionali nell’anno della pandemia non potranno essere integrali, ma il fisco si baserà sulla autodichiarazione dei contribuenti
“Abbiamo adottato un approccio pragmatico basato sull’autocertificazione in modo da non aggravare la burocrazia”. È questa in sintesi la risposta del consiglio di Stato a due distinti atti parlamentari (uno di Boris Bignasca per la Lega e un altro di Carlo Lepori per il Ps) che chiedevano lumi sulle direttive per le deduzione delle spese professionali nella dichiarazione d’imposta di quest’anno. Ne avevamo scritto qui. In pratica chi durante il 2020 si è trovato in una situazione di lavoro ridotto o di lavoro da casa, nella dichiarazione dovrà tenere conto dei giorni effettivi in cui si è recato al lavoro. L’integralità delle spese di trasporto e di doppia economia domestica non sarà comunque possibile. Le deduzioni, spiega il governo nella premessa alle due risposte, “sono disciplinate dal diritto federale al quali i Cantoni devono attenersi”. Questo vuol dire che non è possibile seguire la via zurighese suggerita da Carlo Lepori, ovvero far finta che il lockdown non ci sia stato e permettere la deduzione integralmente. E nemmeno affermare che si siano aumentate le imposte, come scritto da Boris Bignasca. Il diritto vigente, ricorda il consiglio di Stato, prevede che le spese professionali possano essere dedotte solo se effettivamente sostenute.
L’approccio della Divisione delle contribuzioni, in un anno particolare come quello del 2020, sarà teso a evitare un eccesso di burocrazia. Questo vuol dire che spetterà al contribuente compilare correttamente il formulario delle imposte riducendo, se necessario, il numero dei giorni lavorativi ai fini del calcolo delle deduzioni. È in sostanza un’autocertificazione che, al pari di oggi, non dovrebbe aggravare né il lavoro dei tassatori, né aumentare il contenzioso.