Per le case da gioco poco è cambiato rispetto a prima della pandemia. E c'è chi festeggia il compleanno tra slot machine e tavoli verdi
Un sabato sera di novembre. Le lancette segnano le 22.30. Il lungolago di Lugano ribolle di gente. Giovani e meno giovani che hanno voglia e bisogno di svagarsi, anche di questi tempi. C’è chi sorseggia il suo drink al bar, qualche gruppetto di teenager intorno alle panchine, chi esce solo ora dal ristorante stringendosi il cappotto indosso, persino un principio di rissa sul marciapiede tra quattro ragazzini. Alle 23 però, si sa, i locali chiudono. Ma forse non tutti. Le porte del casinò restano aperte fino alle 5 del mattino. Come sempre. Sì, perché il Consiglio federale non ha imposto la restrizione oraria alle case da gioco, ma solo a bar e ristoranti. I governi cantonali di Berna, Basilea, Friburgo, Vaud, Neuchâtel e Ginevra hanno però di loro iniziativa imposto una chiusura totale delle case da gioco in seguito al peggioramento della situazione epidemiologica. Decisione che, almeno per ora, non è stata presa dal Consiglio di Stato ticinese, che si uniforma alla maggioranza dei cantoni germanofoni. I casinò formano quindi una categoria tutta loro, una bolla nell’attuale mercato dell’intrattenimento.
Pochi minuti dopo le 23, sono diversi i ragazzi che si avviano verso l’entrata della casa da gioco. È facile intuire che non si tratti di giocatori abituali, ma piuttosto di giovani a cui, almeno ancora per qualche ora, non va di rincasare.
Il piano di protezione elaborato dalla Confederazione limita l’accesso alle sale da gioco, riservandole unicamente ai giocatori, e impone l’utilizzo di separazioni in plexiglass e mascherine. Il servizio bar è vietato dopo le 23. Il casinò di Lugano aveva inoltre dichiarato, sia attraverso il loro sito sia in un’inserzione pubblicitaria, che alla reception sarebbero stati messi a disposizione dei guanti protettivi per tutti i giocatori. Ma la realtà, quella constatata personalmente sul posto in due occasioni (il 7 e il 14 novembre, ndr), è un po’ diversa.
Il via vai, una volta dentro, è tanto. Né Confederazione né Cantone hanno infatti imposto un numero massimo di persone inferiore a quello standard. Si sta continuamente in piedi: un po’ per cambiare gioco, un po’ per ricaricare la tessera per giocare alle slot machine, un po’ per andare in bagno. Chi si sgranchisce le gambe, chi è lì solo per guardare, appoggiato alla spalla dell’amico. Fumare è tuttora ammesso, e c’è chi fuma molto. L’uso della mascherina è perciò in molti casi quantomeno parziale. Il ricambio di persone alle slot è decisamente sostenuto e non si può fare a meno di osservare che nell’arco di un’ora le persone che toccano gli stessi tasti siano veramente tante. Di guanti, nemmeno l’ombra. Dinamiche quindi diverse da quelle che si possono creare seduti in quattro al tavolo di un bar.
Per Andrea Montini, gestore del bar-ristorante Shaker di Lugano «la legge è giusta se è uguale per tutti. Che il casinò vada avanti a tenere aperto fino alle cinque del mattino è sbagliato». All’orario di chiusura, specifica Montini, «il locale è pieno ed è un po’ una barzelletta perché chiaramente alle 23 tutta la nostra clientela ha un pretesto per rimanere in giro, quindi tanto varrebbe farli restare nei locali senza penalizzare ulteriormente il settore». «Lo scorso sabato per esempio», continua, «c’erano dei clienti che per festeggiare il compleanno, aspettando la mezzanotte, hanno deciso di indirizzarsi verso il casinò, e parliamo di persone che prima non ci andavano neanche per sbaglio».
Gianmaria Pusterla, portavoce del Dipartimento delle istituzioni diretto da Norman Gobbi, attuale presidente di turno del governo, spiega: «Il Consiglio di Stato valuta costantemente e adotta, di volta in volta, misure sempre proporzionali e adeguate alla situazione epidemiologica. Oltre a considerare l’equilibrio tra questioni sanitarie, economiche e sociali, considera anche se è possibile mettere in pratica e rispettare un piano di protezione efficace. Se parliamo dei cantoni romandi è evidente che la loro situazione epidemiologica era più grave della nostra, il che li ha portati, per esempio, a chiudere anche bar, ristoranti e musei (dal 10 dicembre riaprono, ndr). La chiusura di queste strutture è quindi da contestualizzare nell’ambito di una chiusura parziale di svariate attività commerciali. Chiusure che nella seconda ondata il Consiglio di Stato è finora riuscito a evitare». Pusterla ricorda infine «che la concessione per i casinò è federale e la Confederazione in questo periodo non ha mai limitato l’attività delle case da gioco».
Non c’è, quindi, nessuna limitazione governativa rispetto alla capienza delle strutture, se non quella - per il cliente - di stare a una sola postazione di gioco. In Ticino, due casinò su tre si autoimpongono però una soglia massima nel quadro del loro piano di protezione. Luca Antonini, Ceo del Casinò di Locarno e del Casinò Admiral di Mendrisio, conferma che il numero di persone attualmente ammesse è 745 per Mendrisio (incluso il settore ristorazione al primo piano) e 164 per Locarno. Normalmente queste strutture possono ospitare rispettivamente 900 e 400 persone. Il Casinò di Lugano non si è posto, di principio, un limite di persone, che può variare in base al numero di macchine disponibili e alla superficie di gioco. L’affluenza massima standard per questa struttura è di 1025 persone. Si parla quindi di centinaia e centinaia di persone chiuse in uno spazio che, seppur ampio, resta uno spazio chiuso.
Secondo il rapporto annuale 2019 della Commissione federale delle case da gioco, l’anno scorso i casinò di Locarno e Mendrisio, titolari di una concessione di tipo B, hanno versato al cantone tasse per un importo complessivo di oltre 17 milioni di franchi. Il casinò di Lugano, titolare di concessione di tipo A, ha versato invece circa 29 milioni di franchi alla Confederazione. La città di Lugano è inoltre l’azionista principale del Casinò di Lugano, con una partecipazione pari al 65,73 per cento.