Ticino

Coronavirus, 'La seconda ondata è arrivata anche in Ticino'

'Non siamo in codice rosso, ma come evolverà la situazione dipenderà dalle scelte di ognuno'. L'appello: diminuire le situazioni a rischio.

Ti-Press
21 ottobre 2020
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In Ticino cresce il numero di contagi. Oggi, per la prima volta da hanno superato soglia 250: non succedeva dal 27 marzo ed è il secondo incremento più alto di casi dall'inizio della pandemia, anche se le cifre nude e crude sono difficilmente paragonabili visto anche l'aumento del numero di tamponi.

«La seconda ondata è cominciata anche in Svizzera e i dati ticinesi non lasciano spazio a dubbi: siamo anche noi in questa nuova fase», ha rilevato il direttore del Dipartimento sanità e socialità Raffaele De Rosa durante l'incontro con la stampa svoltosi sul mezzogiorno a Bellinzona.  «Quanto la curva dei contagi salirà e impatterà sulla vita dei ticinesi dipende in gran parte dal comportamento di ognuno. Conosciamo il virus e sappiamo come agire: dobbiamo mantenere le distanze, portare la mascherina quando non si può stare lontani, applicare scrupolosamente l'igiene delle mani». Da diminuire anche le frequentazioni sociali a rischio: «Ogni volta che scegliamo di evitare luoghi affollati, ogni volta che scegliamo di mettere la mascherina, ogni volta che scegliamo di disinfettarci le mani e scegliamo di rimanere a casa se abbiamo sintomi aiutiamo a proteggere tutti». 

Cresce il tasso di positività e l'età delle persone ammalate

A preoccupare in particolare non sono solo «gli aumenti dei contagi, ma anche l'incremento del tasso di positività, l'aumento dell'età dei contagiati e il fatto di non sapere sempre più dove le persone hanno contratto il virus». È il momento, ha aggiunto De Rosa, «di agire celermente per frenare questa evoluzione. È nell'interesse della salute della popolazione, ma anche dell'economia». Un secondo lockdown «non ce lo possiamo permettere, ma ce lo imporrà il virus se non ci comportiamo in maniera corretta. Siamo consapevoli di chiedere molto a tutti i cittadini; siamo tutti stanchi, ma dobbiamo tenere duro e restare uniti. Siamo solo a metà ottobre e ci attendono ancora diversi mesi». 

Irresponsabile chi mette in giro false speranze: il virus non è meno pericoloso

Inutile cercare scappatoie: il virus «non si è indebolito e la popolazione non è immune», ha aggiunto ancora De Rosa, dicendosi preoccupato per chi «senza basi scientifiche» e in modo irresponsabile «lascia intendere il contrario. Ricordiamoci della diversa percezione in Svizzera a marzo tra il Ticino e il nord delle Alpi (quando il resto della Svizzera fu decisamente meno toccata del nostro cantone, ndr.). Ora che la situazione si è capovolta, non facciamo lo stesso errore» di sottovalutare la situazione.

Ospedali pronti

A livello ospedaliero si è pronti ad aumentare la capacità, in una prima fase sino 60 letti di cure intense e 220 in reparto entro 24 ore – ha chiosato il direttore del Dss –. Inoltre, in caso di crisi, ci si appoggerà pure all'ospedale Italiano e alla sede Eoc di Faido, con un incrementi di 10 letti alla volta.

I dati delle ospedalizzazioni «cresceranno qualora il virus dovesse venire a contatto con le fasce a rischio, che devono quindi tornare ad essere protette», ha rilevato il medico cantonale Giorgio Merlani. «L'appello a chi è a rischio è quello di essere prudenti», ha aggiunto De Rosa.

Non siamo in fase rossa, ma serve responsabilità

«Non siamo ancora in una fase rossa: la situazione è seria ma non è fuori controllo – ha rilevato Norman Gobbi, presidente del Consiglio di Stato –. Questa crisi, lo abbiamo detto più volte, non è uno sprint, ma una maratona e dovremo imparare a convivere con questo virus per diverso tempo. Il governo vuole mantenere la situazione sotto controllo, salvaguardando sia la vita sia le libertà delle cittadine e dei cittadini. Monitoriamo costantemente la situazione, valutiamo giornalmente le tendenze e manteniamo la calma. Ma, se necessario, siamo pronti a prendere nuove misure celermente». Tuttavia, ha aggiunto, «un nuovo lockdown non è sostenibile». L'uso delle mascherine «contiene i contagi», ha proseguito, «per cui abituiamoci a portarle».

Il federalismo e la decisione di Berna di lasciare in mano ai cantoni la possibilità di varare le proprie regole, secondo Gobbi non è affatto uno svantaggio, ma un punto di forza: «La Svizzera è uscita bene dalla prima fase pandemica perché ha potuto contare proprio sulla forza delle strutture a tutti i suoi livelli», ha rilevato.

'La scuola non è luogo di contagio'

«La situazione nelle scuole ticinesi sono sotto controllo» ha rilevato da parte sua il direttore del Dipartimento educazione, cultura e sport Manuele Bertoli, aggiungendo di essere conscio del dibattito attorno al ruolo degli istituti nella pandemia. «Passare alla fase due, ovvero alle lezioni in remoto» non è per ora una soluzione. Anzi, sarebbe controproducente, secondo il direttore del Decs: «Per molti allievi vorrebbe dire mettere a repentaglio l'intero anno scolastico».

Si rimane dunque in classe: «I piani di protezione funzionano e siamo sotto lo 0,1% di casi di coronavirus tra gli allievi. Non ci risultano inoltre bambini o ragazzi che hanno avuto bisogno di cure particolari. Inoltre è sostanzialmente verificato che il virus arriva dall'esterno nella scuola, ma non viene portato fuori dalla scuola. Insomma, gli istituti non sono luogo di contagio».

'Contact tracing in affanno'

Il tracciamento dei contatti è in affanno, ha ribadito poi Merlani. Colpa di un'evoluzione repentina dei casi di Covid: «Da 60 casi per 100mila abitanti su 14 giorni si è passati 331 in poco tempo. È un dato elevato, molto più di altri paesi, ma comunque inferiore al resto della Svizzera. L'impennata è sia nel numero di nuovi contagiati sia nel tasso di positività. Per cui non è vero che si trovano più positivi semplicemente perché si testa di più». Il virus è dunque in circolazione «e l'evoluzione è esponenziale». L'impennata è stata talmente rapida «da mettere in difficoltà il 'contact-tracing'. Stiamo aumentando la capacità, ma ci sono tempi tecnici per riuscire a incrementare il numero di operatori. Ci sono quindi dei ritardi nel raggiungere le persone risutlate positive al test e i loro contatti».

Ora è il momento delle scelte

Proteggersi e proteggere gli altri è una questione di scelte: «È chiaro che nessuno pensa di essere positivo quando è in fase asintomatica – ovvero 48 ore prima della comparsa dei sintomi – e nessuno vuole infettare nessuno», ha rilevato Merlani. La soluzione? Diminuire le frequentazioni sociali a rischio: «Lungi da me vietare le cene, ma magari si eviti di farne tre di fila in una settimana. Personalmente mi preoccupano quelle persone che incontrano continuamente un gran numero di persone».

'Inutile avere i piani di protezione se poi tutti fanno pausa caffé insieme senza protezioni'

I luoghi principali di contagio, ha proseguito il medico cantonale, sono la famiglia e i luoghi di lavoro: «Nella cerchia famigliare stretta è difficile tenere le distanze». Diverso il discorso sul posto di lavoro: «È inutile indossare tutto il giorno le mascherine in ufficio, tenere le distanze e avere le separazioni tra le persone se poi si va tutti assieme in pausa caffé senza mascherine e senza altre protezioni».