Ticino

Davide Robbiani e il futuro dell’Istituto di biomedicina

In arrivo da New York, il nuovo direttore dell’Irb illustra le prospettive di crescita in comune con Università, Istituto oncologico ed Ente ospedaliero

(Usi)
10 agosto 2020
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Prima il lockdown a New York, ora gli scatoloni del trasloco nella nuova casa in Ticino: è un’estate frenetica quella del professor Davide Robbiani, che da inizio agosto ha sostituito Antonio Lanzavecchia alla guida dell’Istituto di ricerca in biomedicina: quella disciplina che, ci spiega, «si pone all’intersezione tra la biologia, che ha lo scopo di capire, e la medicina, che ha lo scopo di guarire». 

Dalla Rockefeller University all’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb), dall’Upper East Side di Manhattan a Bellinzona, dopo oltre vent’anni a New York. Un bel salto.

Sotto la direzione del professor Lanzavecchia l’Irb è stato in grado di salire dal nulla fino a livelli di ricerca pienamente riconosciuti su scala mondiale, anzitutto nel campo dell’immunologia, ma anche in settori quali la riparazione del Dna e il controllo della qualità nella produzione di proteine. Ciò è di grande motivazione per tornare in Ticino e contribuire alla crescita dell’Istituto, sia per quanto riguarda la ricerca che nell’insegnamento.

È al via il Master di Medicina presso la Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana; intanto si sta ultimando la nuova sede dell’Irb in via Chiesa a Bellinzona. L’idea è quella di integrare il più possibile tutte le realtà attive in Ticino in campo biomedico. Con quali prospettive concrete?

L’Irb contribuirà al Master di Medicina per esempio offrendo a quegli studenti che sono interessati la possibilità di effettuare una tesi di master sperimentale, quindi un’attività che li esponga alla realtà della ricerca in laboratorio. Questo permetterà loro di scoprire ambiti diversi da quello clinico e al contempo di contribuire ai nostri studi. Già ora l’Irb collabora con altre realtà della ricerca biomedica ticinese come l’Istituto oncologico di ricerca (Ior) e l’Ente ospedaliero cantonale (Eoc). Anche a seguito della pandemia di coronavirus, si sono poi di recente intensificate le collaborazioni con gli ospedali ticinesi per poter realizzare studi tuttora in corso.

In che modo il nuovo stabile a Bellinzona vi sarà d’aiuto?

Il nuovo stabile sarà una struttura molto più ampia e adeguata alle esigenze della ricerca moderna rispetto alla sede attuale. Potremo così concentrare sotto lo stesso tetto tutte le nostre attività, che oggi sono ospitate in varie strutture. Inoltre, il nuovo edificio sarà condiviso con i ricercatori dell’Istituto oncologico di ricerca e alcuni gruppi dell’Ente ospedaliero cantonale. Questo faciliterà la creazione di nuove sinergie. 

Proprio la ricerca sul coronavirus ha coinvolto anche Irb e Ior. Nel frattempo, da New York, lei pubblicava su ‘Nature’ insieme ad alcuni colleghi un importante studio su anticorpi potenzialmente in grado di neutralizzare il virus, che verranno testati nella clinica in autunno. Alla luce di queste esperienze, è possibile ipotizzare un’ulteriore condivisione di conoscenze tra l’Irb, la Rockefeller University e altre istituzioni Usa?

Certo, prima di tutto come immunologi siamo in prima linea nella lotta alle malattie infettive, specie quelle più nuove come il coronavirus. Tecniche, esperienze, reagenti sviluppati a New York torneranno utili anche all’Irb, e potranno essere condivisi. In generale, la natura globale della ricerca resta imprescindibile, e spero di poter mettere a disposizione dell’Istituto la rete di conoscenze e collaborazioni costruita nel corso del ventennio trascorso negli Usa. D’altronde, già ora l’Irb è fortemente connesso a livello internazionale e interdisciplinare.

Però la ricerca sulle malattie infettive – lei stesso si è specializzato anche su quelle ‘tropicali’ come Zika – non sembra destare un grande interesse nel settore farmaceutico, che vede più profitti dalla vendita di farmaci per le patologie croniche e oncologiche. Un limite che si è visto anche con questa pandemia.

Proprio per questo è importante la ricerca pubblica, come quella svolta all’Irb. Come istituto accademico, il nostro compito è generare liberamente scoperte e non profitti, oltre a educare la prossima generazione di scienziati. Naturalmente poi ci sono quelle scoperte che hanno un potenziale di applicazione che può permettere anche lo sviluppo di nuovi medicinali, e quindi coinvolgere anche il settore privato. È così che è nata un’azienda spinoff di Irb come Humabs. In ogni caso, la natura pubblica della ricerca e la tutela della proprietà intellettuale permettono di collaborare col privato in modo proficuo e costruttivo per tutti.

Lei ha vissuto il lockdown a New York. Che idea si è fatto della gestione svizzera della pandemia rispetto a quella americana?

Sono qui da poche settimane, ma la prima impressione è che vi siano direttive chiare da parte delle autorità e molta attenzione nel seguire le ‘onde’ dell’epidemia, cambiando le stesse direttive a seconda di quanto reso necessario dagli eventi. Mi sembra anche che la gente sia abbastanza rispettosa delle regole. Questo è incoraggiante se lo confrontiamo con quanto accaduto negli Stati Uniti, dove purtroppo si sono visti momenti di forte conflitto tra le raccomandazioni degli esperti e quanto deciso dalle autorità politiche, sia alla Casa Bianca che a livello di singoli Stati. Un fenomeno che da scienziato ho vissuto con una certa tristezza, e che è probabilmente aggravato dal fatto di trovarsi in un anno di campagna elettorale.

A proposito di regole, martedì scorso l’Ordine dei medici del Canton Ticino ha chiesto d'imporre l’obbligo di mascherina in negozi e spazi chiusi, mentre il Consiglio di Stato si è limitato a ribadirne la raccomandazione. Cosa ne pensa?

Per mesi a New York ho vissuto con le mascherine negli spazi chiusi, ma anche all’aperto dov’era altamente raccomandata, e lì ha funzionato: è una delle misure che ha contribuito a contenere il focolaio. Capisco d’altronde che in presenza di pochi casi possa essere più difficile giustificarne l’imposizione. La cosa più importante rimane comunque quella di seguire l’andamento dei contagi e rispettare le regole di volta in volta decise dalle autorità, le quali a loro volta ascolteranno con attenzione quanto suggerito da medici e altri specialisti.