In Ticino è stata fondata l’associazione svizzera che sostiene i malati di questa grave patologia. Ne parliamo con una ricercatrice di Bellinzona attiva negli Usa
Il suo nome può essere fuorviante, facendo pensare che si tratti di uno scompenso del sangue facilmente risolvibile. In realtà l’anemia di Fanconi – battezzata così per ricordare il medico di Poschiavo che aveva diagnosticato i primi casi – si riferisce a un grave problema di salute che solo negli ultimi anni sta facendo i primi progressi verso diagnosi e trattamenti più efficaci. Oltre ad essere una malattia genetica rara (colpisce una persona nata ogni 131mila circa), l’anemia di Fanconi è anche quasi sconosciuta e per questo sfavorita nel calderone della ricerca. Lo sa bene la famiglia del Luganese che nel 2014 ha fondato l’unica associazione in Svizzera attraverso cui finanziare ricerche che possano allungare la speranza di vita di chi è affetto dall’anemia di Fanconi (Asaf). Nel loro caso ne sono affetti due figli. «Inizialmente ci è stata ipotizzata una diagnosi sbagliata, che non riguardava una malattia genetica ereditaria», spiega la madre intervistata dalla ‘Regione’. Nei primi tre anni di vita la bambina ha subito numerosi interventi chirurgici, effettuati al Kinderspital di Zurigo.
Solo qualche anno dopo la nascita del fratellino, che apparentemente non presentava alcun sintomo, la nuova genetista della famiglia ha effettuato degli esami che hanno rivelato una diversa diagnosi: i due bambini sono affetti dall’anemia di Fanconi, di cui i genitori sono portatori sani. «All’inizio ci è crollato il mondo addosso», racconta la donna. La malattia consiste in un difetto ereditario della riparazione del Dna, che provoca una diminuzione progressiva delle cellule del sangue, insufficienza del midollo osseo, malformazioni congenite variabili e predisposizione a tumori del sangue ma anche di altri tipi. «In famiglia non c’erano stati casi e non ce lo saremmo mai aspettato. È stata una brutta vincita alla lotteria. Per le famiglie che vivono una situazione del genere si tratta di un calvario. Cerchiamo di fare una vita normale ma la preoccupazione e il pensiero ci sono tutti i giorni», continua la mamma, sottolineando che fino a qualche decennio fa la prospettiva di vita per i bambini non superava i 10-15 anni.
Gli studi sulla malattia hanno però nel frattempo fatto dei passi avanti e sono pure migliorate le tecniche di trapianto delle cellule staminali del midollo osseo. Poiché l’anemia di Fanconi riguarda ogni cellula del corpo, questo genere d’intervento non permette purtroppo di risolvere la condizione dei pazienti, ma permette comunque di prolungare la loro vita. Proprio per questo la fondatrice dell’Asaf lancia un appello a possibili donatori sani di midollo osseo. «Basta un semplice test tramite saliva per sapere se è possibile donare», sottolinea.
Tra le conseguenze per i malati vi è come detto la predisposizione all’insorgenza di tumori. Risulta perciò fondamentale la diagnosi precoce della malattia, in modo da poter poi effettuare controlli sistematici al paziente e scoprire così in tempo utile l’eventuale presenza di cellule pretumorali per poi valutare la rimozione chirurgica. Tali pazienti mal tollerano i protocolli di chemio o radioterapia e per loro è necessario prevedere trattamenti con farmaci e dosaggi più soft rispetto alla norma.
La ricerca è stata e continuerà a essere fondamentale per conoscere meglio questa malattia rara e per capire in quale modo curare le conseguenze. Come sottolinea la nostra interlocutrice, finora la maggior parte dei fondi proviene dalle famiglie dei malati e da sostenitori ad esse vicini. «Poiché molte persone volevano aiutarci, abbiamo deciso di fondare l’associazione, che conta circa una settantina di soci». È anche possibile dare una mano nella forma di sostenitore. Ulteriori informazioni sul sito www.fanconi-anemia.ch.
Poiché non esiste una cura per questa grave malattia che fa aumentare di molto la possibilità di contrarre il cancro, per migliorare le condizioni di salute e allungare la speranza di vita di chi ne è affetto la ricerca si sta focalizzando anche sulla prevenzione della formazione di tumori.
Ne abbiamo parlato con la ricercatrice Alessia Stornetta, originaria di Bellinzona e da alcuni anni attiva al Masonic Cancer Center dell’Università del Minnesota, a Minneapolis, dove sta svolgendo il suo post dottorato. All’interno di un gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Silvia Balbo, Alessia Stornetta sta cercando di identificare i fattori di rischio che portano i pazienti con anemia di Fanconi a sviluppare tumori, in particolare quelli della cavità orale. «Siamo interessati a misurare il livello di esposizione a una classe di sostanze chiamate aldeidi nella cavità orale dei pazienti con anemia di Fanconi. Le aldeidi sono presenti nel nostro ambiente, sono contenute nel tabacco e in certi alimenti, oppure possono risultare, come nel caso dell’acetaldeide, dal consumo di bevande alcoliche», spiega la ricercatrice. Alcuni studi scientifici, aggiunge la nostra interlocutrice, hanno dimostrato che le aldeidi svolgono un ruolo importante nello sviluppo dei sintomi di questi pazienti e potrebbero quindi giocare anche un ruolo nello sviluppo di alcuni tumori. Perciò il team di ricerca si sta focalizzando sulla misurazione dell’esposizione di queste persone a tali sostanze. «Stiamo inoltre cercando di capire se i batteri che colonizzano la cavità orale di chi ha l’anemia di Fanconi possono influire sul livello delle aldeidi. A questo proposito mettiamo a confronto i batteri presenti nella bocca di soggetti con e senza la malattia», spiega la bellinzonese.
Negli Stati Uniti, dove nascono 31 malati ogni anno con un’occorrenza di 1 ogni 131mila nascite, è presente un Fondo di ricerca che ogni anno organizza un simposio durante il quale vengono illustrate le novità relative alla ricerca. Stando agli ultimi dati, emerge che attualmente la metà delle persone con anemia di Fanconi è maggiorenne, sintomo che l’aspettativa di vita si sta allungando.
A livello mondiale l’ospedale universitario di Minneapolis è uno dei centri di riferimento per questa malattia rara: proprio qui 52 anni fa è avvenuto il primo trapianto di midollo osseo, la cui efficacia è passata dal 20% di successi negli anni 90 al 90% attualmente; inoltre è stato effettuato il primo trapianto da cordone ombelicale su un paziente con anemia di Fanconi. Settimanalmente la ricercatrice Alessia Stornetta si reca in clinica per raccogliere i campioni dai pazienti. «Questo mi permette non solo di stabilire un contatto con loro e di spiegare la nostra ricerca, ma anche di vedere personalmente gli effetti devastanti di questa malattia», spiega Alessia.
Studi di ricerca sull’anemia di Fanconi, oltre ad aiutare questi pazienti specifici, possono anche fornire una chiave determinante per comprendere i processi biologici e molecolari che sono alla base di alcune forme di cancro e che interessano tutta la popolazione in generale. In altre parole, sottolinea la ricercatrice, questo significa che i risultati della ricerca sull’anemia di Fanconi possono essere importanti non solo per questi pazienti, bensì possono avere un impatto più ampio sull’intera comunità. «Perciò il contributo alla ricerca su questa malattia è fondamentale. Ringrazio tutte le persone in Ticino che sostengono la ricerca sulla malattia partecipando alla raccolta fondi tramite l’Associazione svizzera per l’anemia di Fanconi», sottolinea la nostra interlocutrice.