Finora gli anni erano tre. Sì al rapporto Galusero (Plr): uno straniero che chiede la cittadinanza deve aver restituito gli (eventuali) aiuti sociali percepiti
Il rimborso delle (eventuali) prestazioni assistenziali percepite negli ultimi dieci anni sarà, in Canton Ticino, passo obbligatorio per chiedere la cittadinanza svizzera. Lo ha deciso questo pomeriggio il Gran Consiglio con 38 favorevoli, 32 contrari e 3 astenuti, dando via libera sia all’iniziativa dell’ex granconsigliere Nicholas Marioli e ripresa da Omar Balli (Lega), sia al rapporto della Commissione parlamentare Giustizia e diritti di Giorgio Galusero (Plr). È lo stesso liberale radicale a ricordare in aula i motivi che hanno spinto la commissione a dare luce verde: «La naturalizzazione è un momento importante, un’assunzione di responsabilità. Chi ha beneficiato di aiuti assistenziali e ha visto migliorare il proprio tenore di vita è giusto che debba restituire gli importi». Il periodo previsto dall’attuale regolamentazione, vale a dire tre anni, per Galusero «è troppo breve. In dieci anni una persona si responsabilizza di più». Concorda Luca Pagani (Ppd), salvo aggiungere che «la misura, per non diventare iniqua, non deve essere applicata in modo assoluto ma tenere conto delle eccezioni previste dal diritto federale per persone disabili, gravemente malate o lavoratori poveri». E se Roberta Soldati per l’Udc parla del «rischio di abuso da parte di furbetti che per un tempo breve rigano dritto e poi tornano a vivere a carico della collettività», ci sono state anche voci contrarie a questo giro di vite. A partire dal socialista Carlo Lepori: «Provo sconcerto e indignazione». Nel senso che «è il tipico approccio che viene da una certa destra, una proposta declamatoria e confusa. Abbandoniamo l’idea dello straniero che viene in Svizzera a rubare soldi, sono persone che aiutano il nostro vantaggio economico». Netto anche l’ecologista Marco Noi: «Si coltiva il sospetto nei confronti dell’altro, si va verso una perdita di umanità». Per l’Mps Simona Arigoni afferma: «Il problema sono aziende che pagano salari infami costringendo a ricorrere agli aiuti». Voci contrarie, benché insufficienti, anche da partiti (Plr e Ppd) che a maggioranza hanno sostenuto la modifica. Su tutte, quella della liberale radicale Natalia Ferrara: «Abbiamo appena votato una norma contro il bullismo (vedi quella sugli smartphone, ndr.), quanto siamo bulli noi ad approvare questa proposta?».