Ragazzi irritabili di giorno perché la notte faticano a dormire, anche per i social
Un bambino su quattro fatica a dormire stravolgendo la vita dell’intera famiglia: il 70% dei genitori, in queste condizioni, ammette di avere fantasie aggressive. Bimbi sempre più insonni, sul banco degli imputati: cellulari e comportamenti inadeguati dei genitori.
«Sì, il problema sta aumentando. Spesso entrambi i genitori lavorano, così la sera diventa un momento di eccitazione, che non predispone al sonno. C’è sempre più l’esigenza di farli dormire a una certa ora, senza rispettare il loro fabbisogno genetico individuale. Ne segue una lotta per addormentarli che spesso porta a un conflitto familiare e a un’insonnia comportamentale del bambino. Infine, c’è l’intrusione della tecnologia e dei ‘social’: consigliamo ai genitori di togliere il telefonino dalla camera da letto, spiegando ai ragazzi che la privazione di sonno influisce sul rendimento scolastico, favorisce disturbi dell’attenzione, iperattività», spiega il dott. Oliviero Bruni, direttore dell’Unità di neuropsichiatria infantile all’ospedale Sant’Andrea a Roma, dove curano l’insonnia di 400 giovani l’anno. Era all’ospedale Civico a Lugano per un simposio sull’insonnia, organizzato dal Neurocentro della Svizzera italiana. Lo abbiamo incontrato.
C’è chi pensa di aver vinto al lotto quando il bébé finalmente si addormenta cullato dall’auto, dal passeggino o da una canzone. Invece è l’inizio della fine, perché si instaura involontariamente un circolo vizioso. Notte dopo notte, si dovrà ripetere lo stesso rituale per farlo addormentare. «C’era una bimba che dormiva solo se metteva le dita nel naso della madre. La stessa procedura andava ripetuta ad ogni risveglio notturno. Il sonno dei bambini è spesso condizionato da comportamenti sbagliati dei genitori», precisa il medico. La regola d’oro è una sola: «Il bambino deve imparare ad addormentarsi da solo».
Per l’esperto è fondamentale capire, tra gufi e allodole, quando il bambino è predisposto al sonno: «Se lo è alle 21.30, ci vorrà una lotta per mandarlo tra le braccia di morfeo alle 20.30. Bisogna riconoscere i classici segnali come sbadigliare, stropicciarsi gli occhi e una certa irritabilità. A questo punto va accompagnato, senza condizionarlo. Si può stargli vicino, staccandosi quando si addormenta», spiega.
Imporre un orario per andare a letto non è una buona idea. «Orari rigidi non funzionano, ciascuno ha i suo ritmi di sonno, è un fabbisogno individuale, stabilito geneticamente che va rispettato, perché si rischia di instaurare un’insonnia comportamentale del bambino indotta da azioni che condizionano l’addormentamento e i risvegli notturni».
Alla classica domanda ‘nel lettone fino a che età?’, l’esperto consiglia, nei primi mesi, di avere la culla vicino al letto dalla parte della madre, evitando di tenere il bébé nel lettone per scongiurare i rischi di morte improvvisa o soffocamento.
Non deve scoraggiarsi chi ha instaurato cattive abitudini, c’è sempre una via d’uscita. Come la tecnica dell’estinzione graduale per i risvegli notturni che l’istituto usa con successo: «Abituiamo gradualmente il bimbo alla lontananza del genitore. Quando si sveglia e piange, lo si consola, poi ci si allontana, spiegando che si va a prendere l’acqua. Si ripete l’azione allungando gli intervalli. Il bimbo si tranquillizza e si riaddormenta da solo. Alla lunga non strillerà più ad ogni risveglio».
Oltre a una certa inesperienza dei genitori, c’è la genetica, una certa predisposizione all’insonnia e ai risvegli notturni. «La terapia comportamentale aiuta ma non risolve tutti i casi. A seconda del problema abbiamo trovato approcci diversi. Coi bimbi che hanno dermatiti atopiche, intolleranze al latte e si svegliano più volte per notte funzionano gli antistaminici, perché riequilibrano il sistema e favoriscono un sonno più continuativo. Mentre coi bimbi che scalciano (denominati dai genitori ‘cavalli nel letto’) funziona la terapia col ferro perché spesso soffrono di anemia».
Ci sono i classici ‘tiratardi’ (i gufi) che sono al top nel pomeriggio e quelli che già all’alba (le allodole) sono carichi come una molla e pronti a scattare. I cronotipi, che rappresentano il ritmo personale e l’orologio interno, sono determinati dai geni e rivestono un ruolo sempre più importante nello studio dell’insonnia, come ci spiega la professoressa Monique LeBourgeois del dipartimento di fisiologia integrativa dell’Università del Colorado a Boulder. «I bambini non possono scegliere a che ora andare a dormire, mentre gli adulti possono farlo. Spesso i bambini vengono obbligati ad andare a letto anche se, per loro, non è ancora il momento di dormire. Avere regole rigide non aiuta», spiega la ricercatrice americana che abbiamo intervistato al simposio organizzato al Civico a Lugano.
Un altro aspetto molto studiato dagli esperti è l’effetto della luce artificiale. «Molti genitori non sanno che i bambini sono molto più sensibili alla luce. L’esposizione nelle ore prima di dormire può sopprimere fino al 90% della produzione della melatonina», dice la ricercatrice evidenziando vari nuovi studi.
La peggiore è quella ‘blu’ emessa dagli schermi a led dei dispositivi elettronici di ultima generazione, che inibisce, il cosiddetto ormone del sonno, mandando in tilt i ritmi circadiani che regolano i tempi del nostro riposo.
Dare la sera un’ultima occhiata a Instagram o Facebook su tablet o smartphone è una pessima abitudine che rischia di compromettere la qualità del sonno perché invece di addormentarsi, ci si attiva. «Vediamo ragazzi sempre più giovani che non dormono abbastanza e sviluppano problemi emotivi e di obesità».
Sempre più ricerche mettono in evidenza come connettersi frequentemente ai Social (Facebook, Instagram, WhatsApp, Twitter e Snapchat) sia associato a una peggiore salute: stress, ansia, insonnia.
Come in ogni cosa è l’eccesso a far male. «Gli smartphone non tolgono il sonno a tutti gli adolescenti, ma a chi ne fa un uso eccessivo», precisa la dottoressa Heather Cleland Woods. Incontriamo a Lugano la ricercatrice dell’Istituto di psicologia dell’Università di Glasgow, che ci illustra un recente studio, parla dell’impatto della tecnologia sugli adolescenti. «Il 40% aveva difficoltà a dormire perché trascorreva oltre tre ore sui social».
Interessanti i motivi che tengono i ‘teenager’ incollati ai social la sera nel privato della loro camera. «C’è ad esempio chi vuole tenersi aggiornato sui fatti della serata per non sentirsi escluso dalle discussioni del giorno seguente a scuola», spiega la dottoressa. Come Daniel, 15 anni: «I miei amici stanno parlando tra loro, forse mi sto perdendo qualcosa di importante». C’è anche una sorta di obbligo sociale. Harry, 16 anni: «Devo rispondere perché i miei amici sanno che ho visto il messaggio».
I divieti per l’esperta servono a poco e rischiano di venir aggirati facilmente soprattutto in un campo, quello della tecnologia, dove spesso i figli ne sanno più dei genitori. «La via migliore è quella del dialogo, affrontando il tema della comunicazione sui social, parlandone insieme apertamente», aggiunge. Discutere di come i social media possano diventare montagne russe emozionali, che ti esaltano o buttano giù, dei giusti tempi per rilassarsi, del senso dell’amicizia.