L'avvocato Costantino Castelli, legale dell'ex dipendente di Argo 1 al quale Berna ha tolto il passaporto svizzero: ecco perché ricorreremo
«Quello della Sem è, secondo me, un provvedimento politico, giuridicamente molto fragile in relazione ai fatti su cui si fonda e contrario alla Costituzione federale. Inoltre, potrebbe spalancare le porte a una pericolosa discriminazione legalizzata. Per questi e altri motivi ricorreremo al Tribunale amministrativo federale». L’avvocato Costantino Castelli non si risparmia nel commentare la recente decisione della Segreteria di Stato della migrazione di revocare il passaporto rossocrociato all’ex agente – patrocinato dal legale luganese – della ditta di sicurezza Argo 1, nel frattempo fallita, alla quale il Dipartimento sanità e socialità aveva assegnato, senza la necessaria risoluzione governativa, il compito di sorvegliare i centri d’accoglienza per richiedenti l’asilo. Il 34enne dalla duplice nazionalità, turca e svizzera, era stato condannato con rito abbreviato nell’agosto del 2017 dal Tribunale penale federale per aver predicato l’islam radicale, indottrinando alcune persone, e agevolato la partenza di un paio di aspiranti jihadisti verso il Medio Oriente: due anni di detenzione sospesi con la condizionale e sei mesi da espiare, la pena. Era finito in manette nel blitz anti-terrorismo disposto in Ticino dal Ministero pubblico della Confederazione il 22 febbraio sempre del 2017, lo stesso giorno in cui gli inquirenti cantonali arrestarono il responsabile operativo della Argo 1.
Le cose non stanno così. Due anni fa, quando era difeso da un altro avvocato, il mio cliente aveva accettato un atto d’accusa che lo dichiarava colpevole di violazione della Legge federale che vieta i gruppi ‘Al Qaida’ e ‘Stato islamico’ nonché le organizzazioni associate solo perché avrebbe “rafforzato i concetti di islam radicale” in alcuni suoi conoscenti – in ogni caso mai sul posto di lavoro – e perché avrebbe ospitato per due giorni in una sua casa in Turchia un amico intenzionato a raggiungere le zone di guerra in Siria per partecipare ai combattimenti. Ma non gli è mai stato contestato, in nessun modo, di essere stato un jihadista o di aver fatto parte dell’Isis oppure di altre organizzazioni terroristiche. Soprattutto, non gli è mai stato contestato di aver reclutato combattenti. L’affermazione della Sem è dunque scorretta. E ho l’impressione che il suo provvedimento, il primo del genere da quando esiste la Legge federale sulla cittadinanza, nei confronti del mio assistito sia politico, reso noto oltretutto in piena campagna elettorale. Di sicuro la notizia della revoca della cittadinanza svizzera è stata strumentalizzata politicamente.
Quelle sull’agire in questo caso della Sem derivano da una mia impressione, come libero cittadino e come avvocato difensore. Quelle sulla strumentalizzazione politica della notizia sono basate invece su fatti: post e articoli di stampa che ho letto. Segnalo una circostanza significativa: la Sem mi ha anticipato la decisione per e-mail, cosa del tutto inusuale dato che simili provvedimenti vengono di norma notificati soltanto per posta, e oltretutto circa due ore dopo averla divulgata ai media.
All’epoca non ero io a patrocinarlo e quindi non so quali fossero a quel tempo le dinamiche. So che era stato in isolamento al penitenziario cantonale per tre mesi, in una cella ad hoc per lui. Tre mesi in isolamento, in condizioni dure. E so che c’era una grossa pressione riconducibile al caso Argo 1.
Al Tribunale amministrativo federale chiederò di annullare la decisione della Segreteria di Stato, in quanto reputo che non vi siano i presupposti per una misura così grave come la revoca della cittadinanza, che priva dei diritti politici. Anche se ha subìto una condanna penale e al di là di una diffusa islamofobia che vede terroristi ovunque, il mio assistito non rappresenta e non ha mai rappresentato una minaccia per la sicurezza o l’immagine della Svizzera. Vive qui da venticinque anni e quando ha potuto ha sempre lavorato, sodo. Non basta dare del jihadista a uno per farne un caso di sicurezza nazionale. Peraltro la Sem rimprovera al mio cliente di aver sostenuto Jabhat al-Nusra, senza considerare il fatto che questa fazione combatte l’Isis. Ma nel ricorso solleverò anche un altro argomento.
Con questa decisione della Sem, temo che ci si stia incamminando su una strada che non sappiamo dove ci porterà. Il discorso politico che contrappone lo svizzero allo straniero potrebbe infatti assumere una nuova preoccupante dimensione. La contrapposizione sarebbe fra lo svizzero ‘doc’ e lo svizzero ‘impuro’, che ha acquisito la nazionalità svizzera, la cui cittadinanza sarebbe tuttavia sindacabile, con un conseguente grande rischio di arbitrio. E pertanto anche revocabile, in violazione però del principio costituzionale che vieta alle nostre autorità di discriminare le persone in base alla loro origine, al modo di vivere e alle loro convinzioni religiose e politiche.