Il medico Zayat ed i suoi 29 giorni di sacrificio. L'endocrinologo: '4 giorni di digiuno sgrassano gli organi'. L'oncologo: 'Effetti sulla chemioterapia'
«Sono 29 giorni che vivo come un momento di sacrificio, solidarietà (perché sento la fame come chi non ha cibo) e utilità (per il beneficio in salute). Il digiuno è alimentare, ma anche spirituale, ci si astiene ad esempio dal fumo per chi fuma, dalla sessualità, dal mentire, dal danneggiare gli altri... insomma il Ramadan è una purificazione del corpo e dell’anima», spiega alla ‘Regione’ il dottor Mohammed Zayat, medico internista, specializzato in cardiologia, alla clinica Sant’Anna di Lugano.
Come tante altre ricorrenze religiose anche il Ramadan, commenta il medico musulmano, ha perso gran parte del suo valore. «I miei nonni dimagrivano nel mese del Ramadan e la sera preparavano una tavola povera. Oggi molti ingrassano perché al tramonto si abbuffano e assumono il triplo delle calorie del normale prima di andare a coricarsi. Non fa bene alla salute e non è nello spirito del Ramadan», spiega.
Un mese di sacrificio che presuppone una forte motivazione. «Non sono un grande religioso faccio il Ramadan soprattutto per trasmettere ai miei figli dei valori, come ad esempio il rispetto per il cibo – dietro ad ogni alimento ci sono persone che fanno faticato, magari sottopagate – e per chiè povero. Se il Ramadan non è accompagnato da un’educazione consapevolezza serve a poco», precisa.
Un’esperienza che anno dopo anno ha arricchito il medico su più piani. «Ci guadagno in forza di volontà, faccio un’esperienza di solidarietà con chi sta peggio e perdo anche qualche chilo. Lavorando è più facile perché la mente è impegnata. Ci sono comunque categorie esonerate come fanciulli, donne incinta, malati», conclude.
L’endocrinologo e diabetologo Pietro Gerber attivo alla clinica Sant’Anna di Lugano ci spiega come periodi di almeno 4-5 giorni di digiuno, meglio se seguiti da un professionista, aiutano a cambiare il metabolismo e sono un taccasana per ‘sgrassare’ gli organi da depositi di grasso che possono causare malattie. «Il tessuto grasso è un deposito vivo, che dovrebbe accumulare e rilasciare, prendere e dare. Se continua ad essere solo pieno, invecchia e diventa molto deleterio, perché va a depositarsi nei muscoli, fegato, cuore, reni, dove fa danni. Il digiuno aiuta a ‘grassarsi’, a mobilizzare quegli eccessi depositati negli organi, rinnovando il ruolo di tessuto grasso attivo. Il grasso non va demonizato perché ha un ruolo importante: se lo si elimina c’è rischio di infarto, come hanno dimostrato ricerche sui topi», spiega il medico.
Avendo una sorta di pausa, il nostro corpo concentra le sue energie nei processi di guarigione e rigenerazione, attivando un meccanismo di depurazione in tessuti e organi. Ma fa bene a tutti, magri e ciciottelli? Risponde sempre l’endocrinologo: «Basta un centimetro per scoprire se ci sono accumuli di grasso in eccesso. Nell’uomo il giro vita non deve superare il metro, nella donna 86 centimetri», precisa.
Secondo le ricerche, meglio 4-5 giorni di digiuno, piuttosto che un giorno a settimana. «Un giorno non sembra sufficiente per ottenere il rinnovo dei tessuti di grasso». L’organismo, in una prima fase, mette in circolo tossine precedentemente accumulate per poi eliminarle. «Sarebbe auspicabile farlo con un minimo controllo medico: c’è ad esempio chi è più sensibile agli sbalzi glicemici e può avere all’inizio mal di testa o disagio. Ma il corpo sa adattarsi: a digiuno si produce poca insulina, di conseguenza il fegato trasforma i grassi in corpi chetonici, che sono un ottimo nutrimento per muscoli, cuore e cervello. Importante è bere e assumere sali minerali. Si può fare lavorando, perché in realtà siamo più stanchi quando digeriamo un pasto, soprattutto se a base di carboidrati». Durante l’ultima guerra – rammenta l’esperto – il numero dei diabetici è diminuito molto: «Occorre prestare attenzione a quello che si mette in bocca», conclude.
Una nuova pista che si fa largo è il ruolo del digiuno in oncologia. «Sappiamo che protegge le cellule sane dagli effetti secondari dei trattamenti e aumenta l’effetto delle cure sulle cellule malate. Lo dimostrano esperimenti preclinici fatti nel 2008 sui topi (dal team del prof. Valter Longo all’università della California) e ci sono i primi studi su pazienti. Si sta testando l’effetto del digiuno e/o di diete ipocaloriche 48 ore prima e dopo la chemioterapia», spiega il dottor Mauro Frigeri, oncologo all’ospedale universitario di Ginevra. Chiediamo al capo clinica se un malato, magari già debilitato, non rischia di indebolirsi ulteriormente col digiuno durante la chemioterapia. «È quello che si credeva anche dello sport, ma studi hanno dimostrato il contrario, fa bene durante le cure. Degli studi sono in corso anche a Ginevra sui benefici dell’attività fisica per i pazienti oncologici. È più difficile fare studi sul digiuno. Penso, ci sia una paura infondata del digiuno, che è una condizione che ha accompagnato costantemente la vita nella sua evoluzione. Non abbiamo prove che bisogna mangiare tre volte al giorno, ma lo facciamo tutti», precisa. Tutto è in fase di studio in un campo che in futuro potrebbe riservare sorprese.