Guida a cosa prevede il pacchetto fiscale in votazione domani. Favorevoli, contrari e le loro ragioni
Una riforma tributaria che viene da lontano, dai programmi elettorali e da non poche iniziative parlamentari, ma mai davvero progettata perché in attesa di ‘tempi migliori’. Poi in Consiglio di Stato è avvenuto il ‘miracolo’: l’accordo su un pacchetto sociale e fiscale. Che però ha trovato l’immediata opposizione del sindacato Unia e dello stesso Ps che ha così sconfessato il proprio ‘ministro’.
Sulla scheda figura la seguente domanda: “Volete accettare la modifica del 12 dicembre 2017 della legge tributaria?”. Dunque formalmente il cittadino è chiamato a rispondere con un sì o con un no soltanto alla revisione della legge sopraccitata e in particolare agli sgravi fiscali votati dalla maggioranza del Gran Consiglio lo scorso 12 dicembre.
Il referendum è stato lanciato dal sindacato Unia con la collaborazione di Ps, I Verdi, Pc, MpS, Forum Alternativo, Collettivo Scintilla e Giso, che hanno raccolto 10’459 firme.
Le principali modifiche legislative in votazione popolare riguardano la riduzione dell’onere fiscale sul capitale delle persone giuridiche, tramite un computo parziale dell’imposta sull’utile nell’imposta sul capitale e l’introduzione della riduzione per partecipazioni ai fini dell’imposta sul capitale. E anche, la riduzione dell’onere fiscale sulla sostanza delle persone fisiche con la diminuzione dell’aliquota massima e l’introduzione del “freno all’imposta sulla sostanza”.
Le misure previste con la riforma tributaria non coinvolgono i redditi bassi e medi, le piccole aziende con poco capitale o i proprietari di piccole sostanze (abitazione primaria, magari ipotecata). I contrari fanno un esempio. Una famiglia con reddito imponibile annuo di 500mila franchi e una sostanza (netta) di 50 milioni di franchi, con la riforma al voto pagherebbe circa 70’000 franchi in meno all’anno che corrisponde al 15 per cento della sostanza imposta oggi.
Le modifiche fiscali rientrano in un pacchetto equilibrato che considera anche una riforma sociale. Le prime sono legate alla seconda. Si è creato, a livello politico, un “patto sociale” basato sul principio della “simmetria dei vantaggi”. I benefici ricadranno sulle famiglie, i contribuenti oggi maggiormente penalizzati e le aziende. Secondo la volontà del parlamento, una componente presuppone l’altra. O anche, se cade l’una cade anche la seconda.
Al di là dei principi, la riforma fiscale cade in un periodo economicamente poco favorevole per gran parte della popolazione. Sono infatti peggiorate sia le condizioni salariali, sia quelle lavorative. I contrari ritengono che le misure siano ingiuste perché rivolte a una parte ridotta (e più benestante) della popolazione.
Il pacchetto sociale, sostengono i favorevoli, tiene conto del disagio economico e professionale oggi presente in Ticino. Tra gli interventi sono previsti un “assegno parentale” di 3’000 franchi (contributo unico) in caso di nascita o adozione di un figlio (per famiglie con reddito imponibile massimo di 110’000 franchi) e aiuti finanziari a chi colloca i figli nei nidi d’infanzia, doposcuola, famiglie diurne o familiari curanti.
Il pacchetto sociale è politicamente legato a quello fiscale, ma il legame non è giuridico perché non si può chiedere al popolo di esprimersi su due oggetti differenti (lo ha stabilito una sentenza del Tribunale federale). Questo significa che di fronte a una bocciatura della riforma fiscale, il governo deve valutare il da farsi sul pacchetto sociale; ritirarlo, riproporlo al Gran Consiglio, approvarlo comunque. Il passaggio formale deve avvenire in ogni caso.
I promotori del referendum insistono sull’inopportunità degli sgravi fiscali concessi a chi detiene grandi capitali. Perché lo dicono i numeri. I salari mediani si sono ridotti rispetto alla media svizzera: siamo oltre i 1’000 franchi in meno. Gli impieghi a tempo parziale in dieci anni sono aumentati del 54,5 per cento e il lavoro interinale (precario) ha raggiunto 7,5 milioni di ore. Il tasso di povertà è salito dal 2008 a oggi di oltre dieci punti in percentuale attestandosi al 31,4 per cento. I beneficiari dell’assistenza sociale negli ultimi anni superano le 8’000 unità.
In dieci anni – sostengono i contrari – il numero delle imprese attive in Ticino è quasi raddoppiato passando da 20’000 a 38’000 unità, seguito da una sensibile crescita del Prodotto interno lordo (Pil), la più alta in Europa secondo una recente inchiesta del Bak di Basilea commissionata dalla Camera di commercio del Canton Ticino. È cresciuta anche l’occupazione (+20,6 per cento), soprattutto frontaliera.
La riforma fiscale, precisano i favorevoli, s’impone per reggere la concorrenza fiscale intercantonale. Il Ticino è oggi tra i Cantoni più onerosi nell’imposizione della sostanza e del capitale. Con gli interventi previsti si avvicinano le aliquote ticinesi alla media intercantonale svizzera.
L’imposta sulla sostanza e sul capitale è concentrata su pochi contribuenti; l’1 per cento di questi paga il 60 per cento del tributo fiscale in questione. E questa categoria di contribuenti, precisano i favorevoli, è assai “mobile”; cambia domicilio con alta facilità. Riducendo loro la fiscalità si garantisce il finanziamento delle prestazioni pubbliche nel medio e lungo termine.
Oltre agli sgravi previsti per i grossi contribuenti (circa 50 milioni all’anno secondo i contrari; attorno ai 38 milioni dicono i favorevoli), scatta un pacchetto sociale di circa 20 milioni annui comprensivo dell’assegno parentale e degli aiuti alle strutture per l’infanzia (asili nido, doposcuola ecc.). L’entrata in vigore è fissata per il 1° gennaio 2019. Ma questo sarà solo il primo pacchetto fiscale – sostengono i promotori del referendum – al quale ne seguirà almeno un secondo per la riduzione dell’utile delle persone giuridiche dal 9 al 6,5 per cento in tre anni, secondo le intenzioni del Dfe.
Le modalità tributarie non cambiano. Il Consiglio di Stato, dato il mandato parlamentare, deve decidere cosa fare del “pacchetto sociale” di 20 milioni già approvato dal parlamento lo scorso 12 dicembre insieme al decreto fiscale. L’indicazione politica è di cassare anche questo secondo pacchetto, ma chi deve realmente farlo è tutto da vedere: il governo o serve un ritorno in Gran Consiglio?
La riforma fiscale e sociale è stata approvata dall’intero Consiglio di Stato e da una maggioranza del Gran Consiglio composta da Plr, Ppd, Lega dei Ticinesi e maggioranza del gruppo Ps. Contrari, in parlamento, la minoranza socialista, I Verdi, l’MpS e il Pc. Il referendum è stato lanciato dal sindacato Unia e sostenuto dl Partito socialista (così ha deciso la maggioranza dei delegati riuniti in Conferenza cantonale), I Verdi, MpS, Pc, Gioventù socialista, Forum Alternativo e Collettivo Scintilla. I sindacati Ocst e Vpod sostengono attivamente la riforma, così come le associazioni economiche e imprenditoriali.
Se passa la riforma fiscale il merito politico va in particolar modo a Christian Vitta, consigliere di Stato e direttore del Dfe, e al suo partito: il Plr. Vince però anche Manuele Bertoli, ‘ministro’ del Ps, perché dimostra al proprio partito che non c’erano alternative al “patto” stabilito in governo e che ha trovato la maggioranza parlamentare; questa era l’unica strada per ottenere anche vantaggi sociali. Si conferma però anche la visione dei sindacati Ocst e Vpod impegnati a sostenere la politica familiare anche tramite il rafforzamento delle infrastrutture per la prima infanzia.
Se la riforma fiscale viene bocciata si rafforza sensibilmente la presidenza del Partito socialista e la linea più “movimentista” che guarda solo al fronte rosso-verde. Una vittoria, in questo caso, potrebbe condizionare anche la campagna elettorale 2019 per l’elezione di Gran Consiglio e Consiglio di Stato. Ci guadagna parecchio anche la sinistra-sinistra, e in particolare il Movimento per il Socialismo che in questi mesi molto si è battuto su questo e su altri fronti. Si rafforza, inoltre, il ruolo di Unia all’interno dello schieramento sindacale che fa capo all’Unione sindacale svizzera dove si riconosce anche la Vpod.