Ticino

'8 marzo: la disparità salariale persiste'

In vista della giornata internazionale delle donne l'Ocst chiede che il diritto non rimanga sulla carta

(Ti-Press)
7 marzo 2018
|

“È un po’ deprimente doverlo ripetere, ma anche l’8 marzo di quest’anno ci pone nelle condizioni di dover ribadire che alla disparità salariale non è ancora stata trovata una soluzione soddisfacente e continuano a persistere differenze tra i salari degli uomini e quelli delle donne, a parità di competenze. Ma vale la pena di farlo, perché c’è ancora qualcuno che nega questa realtà”. È la posizione di Ocst donna-lavoro, che ha inviato una nota stampa ai media alla vigilia della giornata internazionale delle donne “Un esempio – vi si legge – è quanto avvenuto al Parlamento federale dove i Consiglieri agli Stati, tra i quali spicca anche un rappresentante ticinese, mercoledì 28 febbraio scorso si sono opposti all’entrata in materia sulla revisione della Legge sulla parità, che comunque è stata rinviata alla commissione competente. La proposta di revisione prevede che vengano introdotte delle misure obbligatorie di controllo per le imprese che hanno più di 50 dipendenti. Sono misure minime, necessarie per misurare il fenomeno e quindi rendere più efficace una legge che difende un principio importante senza avere la forza di persuasione sufficiente a tradurlo finalmente in realtà. Se la Legge sulla parità dopo 23 anni non ha raggiunto il suo obiettivo, è ora di agire e di farlo con decisione”.

Pur annullando l’ingiustizia di quella che viene definita “disparità non spiegata”, cioè quella che non ha nessuna ragione di esistere, Ocst donna-lavoro ritiene che sia necessario un intervento deciso anche sulla “disparità spiegata”, quella che cioè esiste perché ci sono differenze a livello di formazione, di carriera, di anzianità di servizio, di tempo di lavoro tra uomini e donne. “Le donne che lavorano vengono penalizzate per il loro essere, o poter diventare, madri. Nel migliore dei casi, le assenze dovute alla maternità riducono l’anzianità di servizio; il più frequente ricorso al part time esclude di fatto dalla possibilità di assumere delle responsabilità. Nel peggiore invece le donne vengono licenziate o messe nelle condizioni di abbandonare il lavoro dopo la nascita di un figlio. Non sono rari nemmeno i casi di licenziamento durante il periodo di protezione, sopportati silenziosamente per un senso di impotenza troppo diffuso tra le donne. Troppo spesso l’annuncio della nascita di un figlio al datore di lavoro è motivo di paura e di preoccupazione”. La risposta a questo tipo di disparità passa dalla condivisione: “Innanzitutto la condivisione dei compiti a livello familiare tra i genitori. Questa esigenza va riconosciuta anche dalle aziende e sul posto di lavoro: in questa direzione vanno le proposte di congedo paternità e congedo parentale per la nascita di un figlio, e di apertura al lavoro a tempo parziale anche per gli uomini. A questo va aggiunta una nuova visione della responsabilità in azienda che anch’essa può essere condivisa, evitando di penalizzare chi lavora a percentuale ridotta. È necessario un cambiamento di mentalità anche a livello dell’organizzazione del tempo di lavoro: ciò che favorisce entrambi i sessi nella conciliazione degli impegni familiari o privati con quelli lavorativi è una certa regolarità degli orari di lavoro, il riconoscimento del lavoro straordinario, la flessibilità anche in favore dei dipendenti. Chi è disposto ad un’estrema flessibilità del tempo di lavoro, che va ben oltre un normale impegno a tempo pieno, può farlo perché non porta responsabilità al di là di quell’ambito. Questo modo di organizzare il lavoro non può e non deve essere imposto ai dipendenti: la dedizione al proprio lavoro non passa necessariamente per una consacrazione di ogni momento della vita al datore di lavoro”.