Studentesse e studenti di Lavoro sociale della Supsi sono tornati sul palco di Casvegno portando i racconti di vita di chi soffre di disagio psichico
‘Siamo tutti figli della fragilità’. Potrà sembrare strano ma a dircelo (anzi, a ricordarcelo) è un personaggio da fiaba, ‘Cenerentola’. Che è tornata ad abitare il palco del Teatro centro sociale del Quartiere di Casvegno, a Mendrisio. Lo ha fatto per raccontarci, una volta di più, delle storie. Sono quelle di Vittorio, Antonio, Elena. Ma potrebbero essere le esistenze narrate di ciascuno di noi; di persone che sono cadute, ma hanno saputo rialzarsi e proseguire il loro cammino, ‘Oltre la cenere’. In sala cala il buio, e anche quest’anno va in scena più di una rappresentazione. L’incontro delle studentesse e degli studenti del Bachelor in Lavoro sociale della Supsi con alcune persone con disagio psichico ha intrecciato il mondo fiabesco con la vita vera. Restituendo, ieri, venerdì, un momento coinvolgente che ha saputo abbattere il diaframma tra attori e pubblico.
Magia del teatro, forza della musica (Rossini e Mozart) – sapientemente interpretata dalle ragazze e dai ragazzi del Conservatorio della Svizzera italiana diretti da Mariacostanza D’Agostino –, potenza della testimonianza. E tenacia di una collaborazione, quella decennale con il Club ’74, e al contempo con la Fondazione Ingrado, Pro Mente Sana e l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (Osc). Il risultato finale è una esperienza che spiazza e interroga, proprio perché fa i conti con delle storie reali ‘regalate’ dai loro protagonisti prima agli allievi della Supsi, poi alla platea. Quei racconti di periodi difficili dell’esistenza hanno permesso, ha fatto notare Lorenzo Pezzoli, professore in Psicologia applicata alla Supsi e responsabile del modulo ‘Metodi e Tecniche di Intervento col Disagio Psichico’, di riflettere sul loro viaggio dentro la sofferenza.
E a fare da sfondo, come detto, vi è la narrazione di ‘Cenerentola’. «Che è una fiaba universale, chi non la conosce? – ha richiamato Pezzoli –. In verità ne sono state inventariate 700 versioni dall’antico Egitto a oggi. Quando le storie durano tanto, infatti, vuol dire che raccontano qualcosa che è più di una storia, che riguarda tutti noi. Narrano di un pezzettino della nostra interiorità. O forse è il contrario – ha reso attenti –. Non è che noi abitiamo la storia di ‘Cenerentola’, è ‘Cenerentola’ che ci abita. Tutte le volte che veniamo feriti dalla vita, che cadiamo o riceviamo una brutta risposta, tutte le volte che le cose vanno come non vorremmo, da qualche parte si sveglia la nostra ‘Cenerentola’, colei che sta nella cenere. Poi vi sono le condizioni più gravi, di malattia, di fatica, di ricovero. Sono tutte storie di ‘Cenerentola’. Anche se a ben vedere siamo abitati da tutti i personaggi della favola: a volte siamo un po’ matrigna, a volte sorellastre pronte a mettere nella cenere gli altri. Se però si cade, poi ci si risolleva. In quella cenere abbiamo la possibilità di crescere».
Condividere una esperienza teatrale, allora, può essere un buon punto di ri-partenza. «La vostra presenza in questo teatro dimostra quanto la socialità, intesa anche come salute mentale, sia importante – ha tenuto a sottolineare rivolta alla sala Consuelo Rigamonti, copresidente con Rio Tonini del Club ’74 –. Quando Valentino Garrafa qualche giorno fa mi ha chiesto cosa significasse per me la collaborazione con la Supsi, ho risposto: stupenda, giovane e sorprendente. Stupenda perché permette a me e ai miei colleghi di stupirci ogni anno davanti alle rappresentazioni proposte su diversi scenari e sempre nuove storie di vita. Giovane, perché l’aria di gioventù che ci arriva stimola e dà fiducia nel futuro. Quanto all’essere sorprendente, gli spettacoli sono sempre pieni di inventiva e autenticità».
Del resto, come ha fatto memoria Mauro Durini, coordinatore del Servizio di socioterapia, l’Osc è un luogo-specchio della nostra società. «Noi tutti – ha richiamato dal canto suo la vicedirettrice dell’Osc Lea Bohm, cogliendo gli spunti di riflessione offerti dallo spettacolo – siamo caduti, cadiamo e cadremo ancora. Ma ci rialziamo, un po’ cresciuti, un po’ trasformati, un po’ migliori. Quando siamo a terra, d’altro canto, siamo più forti di quanto pensiamo. Ed è la bellezza della vita». Una bellezza che una volta di più il lavoro delle studentesse e degli studenti ha saputo portare sul palco. Tanto da stupire per bravura e profondità della ricerca e del racconto Anna Piccaluga-Piatti, responsabile della formazione al Deass (Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale) e Paola Solcà, responsabile del Bachelor in Lavoro sociale.
Si può ben dire (con il regista del teatro del Club ’74 Diego Willy Corna, che con Fabrizio Rosso ha affiancato il gruppo della Supsi) che grazie al coraggio di chi ha condiviso un pezzo della sua vita si è riusciti, insieme, a mettere un po’ di fuoco sotto la cenere. Quella scintilla che dà modo di rinascere, come ha fatto capire una delle voci narranti che ha accompagnato la classe della Supsi. «Adesso – ha spiegato, invitato a parlare – è molto difficile dire due parole dopo una rappresentazione che ha raccontato tantissimo di noi». Anche in questo caso l’espediente di ‘Cenerentola’ ha aiutato ad andare dritti ai ‘cuori’ degli spettatori, che in taluni casi (per loro stessa ammissione) si sono ritrovati nel racconto. «Siete stati capaci di tradurre le storie di vita in teatro, restituendo un lavoro molto forte, intensissimo», ha condiviso un’altra ‘accompagnatrice’. Un impatto emotivo che ha attraversato la platea, senza distinzione, coinvolta sul finale in un giro di danza. Il ballo dell’esistenza.