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Al via i primi lavori al castello di Castel San Pietro

La prima fase si concluderà entro la fine dell'anno. La Fondazione Parco Gole della Breggia vorrebbe riportare alla luce l’intero complesso medievale

Il basamento in cemento
(Ti-Press / Elia Bianchi)
4 dicembre 2024
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È iniziata la messa in sicurezza del muro in pietra che costeggia il sentiero del 700esimo. Questo piccolo cantiere, posto in cima alla salita che dall’ex cementificio Saceba porta alla Chiesa Rossa di Castel San Pietro, a prima vista potrebbe sembrare il classico lavoro che viene svolto nei boschi ticinesi. Tuttavia, si tratta solo del primo passo di un progetto in evoluzione che potrebbe conferire un ulteriore lustro all’intera regione. Le pietre calcaree fanno infatti parte dei ruderi del castello che, durante il Medioevo, ospitava il clero e la nobiltà, e che dovrebbe diventare il protagonista di un parco archeologico.

Gli scalpellini sono già all’opera

Mettere mano a reperti storici non è evidente. Le tecniche ingegneristiche, cambiate nel tempo, e le tempistiche rappresentano sempre delle incognite. Come ci spiega il direttore del Parco delle Gole della Breggia, Andrea Stella, «da qui passa un sentiero ufficiale del Parco, che stava diventando pericoloso per gli escursionisti. Nell’ultimo anno ci siamo chinati sulla questione e, inizialmente, eravamo un po’ di titubanti all’idea di intervenire su un muro antico. Sai quando cominci, ma non sai quando si finisce». Nonostante queste iniziali riserve, «abbiamo affrontato la situazione con determinazione perché vogliamo dimostrare le nostre buone intenzioni: prima di intraprendere qualsiasi discussione sugli scavi archeologici, dobbiamo mettere in sicurezza l’area». I lavori previsti per sistemare gli 80 metri complessivi del muro dureranno, si stima, all’incirca due anni, finanziato in parte dall’Ufficio cantonale dei beni culturali, dal Comune di Castel San Pietro e, per il resto, dalla Fondazione del Parco. Per il momento, gli scalpellini sono al lavoro sui 20 metri più a ovest; questa prima parte, dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno: «In questo primo tratto stiamo affinando le tecniche di lavoro per cercare di capire come lavoravano allora e replicare l’opera il più fedelmente possibile. Ciò che è stato realizzato in passato è davvero notevole: a distanza di quasi 800 anni, il muro è ancora in piedi e solido». Oltre alla tecnica, anche il materiale in parte è cambiato, e alcune pietre – come prevedibile – non si trovano più sul posto: «Molti sassi sono caduti nel fondo valle, mentre altri li abbiamo recuperati in un deposito del parco. Grazie all’importante collaborazione con i richiedenti l’asilo, li abbiamo riportati qui, per minimizzare l’acquisto di pietre dalla cava di Moltrasio». Come si è potuto osservare sul cantiere, il basamento antico è costruito con rocce più grandi, mentre le linee superiori degli strati di roccia stanno cercando di seguire un preciso schema architettonico. Una differenza la si può invece notare su quanto verrà realizzato nelle parti non visibili: «Attualmente lavoriamo con il cemento, quindi abbiamo inserito un cordolo nel quale, nel rispetto delle regole di sicurezza in vigore, verrà ancorata una rete di sostegno».

Un probabile luogo energetico

Oltre a questo primo progetto di recupero archeologico, i promotori intendono, prosegue Stella, «riprendere le attività di scavo svolte tra il 1987 e il 1989 che hanno permesso di identificare una possibile seconda strada di accesso al castello, munita di una porta fortificata. In quest’area (accanto alla strada agricola che da nord conduce alla Chiesa Rossa, ndr), erano state rinvenute delle tombe romane, il che dimostra che la zona è stata frequentata sin dall’antichità. Perché ciò avvenisse, tuttavia, non è chiaro; alcuni sostengono che si tratti di un luogo energetico». Proseguendo lungo la strada, ci si trova di fronte alla chiesa dedicata a San Pietro e a un piccolo vigneto. E proprio questa coltivazione, così come le mura del castello, si trova esattamente in un’area considerata dal registro fondiario sia agricola che d’interesse archeologico, ma come precisa Stella, «in questo caso c’è il bene archeologico che prevale sul bene dell’agricoltura».

‘Manca la valorizzazione storica’

A favore degli scavi di questo complesso medievale c’è anche il ‘Piano di utilizzazione cantonale del Parco delle Gole della Breggia’ (Puc-Pb). In questo documento pianificatorio generale, gli obiettivi che deve perseguire il Parco sono tre: oltre a “proteggere e promuovere le componenti naturalistiche (contenuti geologici, faunistici, floristici o paesaggistici di importanza nazionale, cantonale e comunale)”, in favore degli scavi si trovano anche i punti relativi a “proteggere e promuovere le componenti culturali (contenuti storici, archeologici, architettura rurale, monumenti artistici, e paesaggio rurale)” e a “favorire l’accesso (disciplinato) dell’uomo per finalità didattiche e di svago”. «Noi ci sentiamo in dovere di valorizzare quest’area – prosegue Stella –. Come Parco, dobbiamo proteggere non solo gli aspetti naturalistici e geologici, ma anche quelli storico culturali. I biotopi sono stati creati, protetti e valorizzati. La corte del Mulino del Ghitello è stata recentemente sistemata, così come una parte del cementificio – riqualifica dell’area ex-Saceba –. Ci manca però proprio quest’ultimo aspetto inserito nel Puc-Pb». Al momento, il dossier che verrà presentato al Cantone è ancora in fase di elaborazione, «lo stiamo ultimando – precisa Stella –. Il Comune di Castel San Pietro ha già espresso il suo sostegno per salvaguardare questa memoria storica». Oltre al Comune e alla Fondazione, tra i promotori del progetto c’è anche l’Associazione ricerche archeologiche Mendrisiotto fondata nel 1998 da Alfio Martinelli, e, tra di loro, sottolinea il direttore del Parco, si è formato «un gruppo di lavoro molto affiatato». Tra i sostenitori si segnalano invece l’Ente Regionale per lo sviluppo - Mendrisiotto e Basso Ceresio e l’Organizzazione turistica regionale - Mendrisiotto e Basso Ceresio.

La dimora del potere ecclesiastico

L’archeologo Martinelli non è la prima volta che si affaccia con progetti del genere. Infatti, già nel 1988 ha avviato le ricerche nell’area denominata ‘Castello’, sulla collina a nord di Tremona. Dopo aver scoperto dei cumuli di roccia disposti in maniera non casuale, nel 1991, su concessione del Consiglio di Stato, ha avviato i primi scavi che, con il passare degli anni, hanno portato alla luce un villaggio, diventato il sito archeologico più grande della Svizzera meridionale. Quanto fatto a Tremona si vuole ora replicare nell’area del castello di Castel San Pietro. La differenza tra i due luoghi, però, pare evidente già dalle prime scoperte: i primi reperti trovati a Tremona sono stati degli oggetti di lavoro, mentre a Castel San Pietro «hanno trovato delle monete e delle preziose porcellane decorate», ricorda Stella. Questo, dimostrerebbe che «erano presenti sia il potere ecclesiastico che quello militare, data la fortezza, rendendo questo luogo un unicum svizzero». Inoltre, le sue dimensioni che superano i 9mila metri quadrati e la posizione dominante rispetto al territorio circostante, lasciano intendere che tale struttura consentiva di controllare le principali vie di transito.

A suffragare quanto affermato da Stella, c’è anche una ricerca storica redatta da Martinelli, nella quale viene ricostruita – almeno parzialmente – la storia del castello, eretto tra il 1118 e il 1127. In questo documento emerge che, “nel 1214, il castello viene menzionato come sede del vescovo di Como”, che in quegli anni era il beato Guglielmo Della Torre, originario di Mendrisio. Il castello, “come proprietà dei signori ecclesiastici di Como, dovette spesso anche adempiere alle funzioni militari per le quali era stato costruito”. Infatti, risale al 1270 “la prima menzione di ‘castellancia’, circoscrizione di un castrum (o distretto) dove gli abitanti avevano l’obbligo di manutenzione e accumulo dei raccolti, ottenendo in cambio la protezione in caso di pericolo”.

All’interno delle mura, fu eretta anche una chiesa, “attestata nel 1323”, e potrebbe trattarsi della chiesetta dedicata a San Giovanni, anche se “non è ancora stata localizzata”. Nel 1345 fu invece consacrata una seconda chiesa: nonostante “la sua posizione rispetto al castello non è del tutto chiara”, è ancora oggi visitabile, trattandosi della limitrofa Chiesa Rossa, iscritta nell’inventario svizzero dei beni culturali di importanza nazionale.

Sempre nel ’300, dopo che l’allora Signore di Milano, Azzone Visconti – figlio di Beatrice d’Este, citata anche nelle Divina Commedia –, “pretese la consegna di tutti i castelli della regione, compresi quelli privati”, la fortificazione cessò di essere il luogo di residenza del clero e divenne “sede della famiglia, il cui potere politico era incentrato su Como. Accanto all’antico nome del castello (Castro Sancti Petri, ndr) apparve quello di Castrum Ruschonum”. La famiglia Rusca, stando a dei documenti conservati nell’Archivio Cantonale, occupò il castello fino al 1419, quando successivamente passò tra le mani prima di Tommaso de Gabellerij e poi, nel 1468, ai comaschi De Albricis. Quest’ultimo passaggio di proprietà è l’ultima notizia certa riguardante il castello. Come conclude la ricerca di Martinelli, “nel 1475 Mendrisio si staccò dalla pieve di Balerna. La castellanza di Castel San Pietro venne smembrata e il castello probabilmente fu distrutto o abbandonato”. Di esso, infatti, nei documenti giunti ai giorni nostri riguardanti la conquista della zona da parte dei Confederati nel 1516, non c’è nessuna menzione. “Ciò induce a pensare che il castello, in quanto tale, non esistesse già più a quell’epoca”. Il suo destino, da come hanno potuto notare i ricercatori, fu simile a quello – almeno in parte – del Parco archeologico del Colosseo di Roma: il materiale del castello fu infatti usato nella costruzione di parti del villaggio di Castel San Pietro, in particolare nella zona denominata ‘Fontana’ e nella frazione ‘Al Ponte’.