Comparso davanti alle Correzionali di Mendrisio, inflitta una pena di 8 mesi sospesi a un 68enne a causa di una Aston Martin scomparsa e poi ritrovata
Una Aston Martin Vanquish. Questo è il modello di un'auto sportiva, di proprietà di una Sa attiva nell’industria tessile, che a causa di una truffa nell’ottobre 2020 stava per finire in Gambia. Prima del trasporto della vettura al porto di Anversa, dove è stata ritrovata all’interno di un container, un 68enne italiano l’ha consegnata a delle persone che lo «minacciavano» e in seguito ha sporto denuncia fornendo informazioni errate.
Questo modo di agire, avrebbe potuto permettere all’uomo – al momento dei fatti amministratore unico della società con sede a Chiasso e nel frattempo trasferitasi nei Grigioni – di ottenere un indebito risarcimento dall’assicurazione pari a 259’600 franchi. A quattro anni dai fatti, l’imprenditore è stato condannato dalla presidente della Corte delle Assise correzionali di Mendrisio, Francesca Verda Chiocchetti, a otto mesi di carcere sospesi per due anni per tentata truffa e sviamento della giustizia.
I motivi di questi reati, come ha spiegato l’uomo alla Corte, nascono già l’anno prima: «Nel 2019, per ragioni lavorative, sono entrato in contatto con persone poco raccomandabili. A seguito anche di una transazione con della merce difettosa, sono stato minacciato più volte subendo delle estorsioni da parte di queste persone». Nel primo episodio di violenza «in tre persone mi hanno bloccato, costretto a firmare due cambiali e rubato l’orologio (di una lussuosa marca, ndr)», perché uno di loro aveva lavorato con il 68enne, ma avrebbe percepito delle provvigioni che non riteneva sufficienti. «Tutte le fatture erano documentate, ma lui sosteneva che una parte dei guadagni li trattenevo io».
Dopo questo primo tentativo di estorcergli 300mila franchi, «mi hanno picchiato e sono finito in ospedale». In un’altra occasione, «mi hanno costretto a salire in auto conducendomi in un posteggio dove ho subito ancora violenza fisica e verbale». E proprio in quest’ultima occasione al 68enne avrebbero chiesto l’auto sportiva come «risarcimento». Tutti questi fatti sono anche stati «denunciati alle autorità italiane. Nonostante continuassi ad andare dalle autorità, non c’erano sviluppi. Non mi sentivo tutelato e avevo paura».
Un anno dopo, nel 2020, ecco che gli ‘scagnozzi’ del suo ex collega di lavoro ritornano dal 68enne e si fanno consegnare le chiavi dell’auto. «Mi hanno dato delle indicazioni precise su come e quando depositare la denuncia del furto. In seguito avrei dovuto chiedere i soldi dell’assicurazione e versare loro una parte». Quanto raccontato in aula non coincide però con le dichiarazioni rilasciate durante i primi interrogatori, nei quali aveva sostenuto di non avere indicazioni sui dati da fornire nella denuncia.
Per la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti il 68enne doveva raccontare la verità: «Non metto in dubbio le minacce che ha ricevuto, ma anche lui ha deciso di delinquere costruendo la storiella della denuncia». Alla compagnia assicurativa, infatti, era stato detto che l’Aston Martin era stata rubata, mentre si trovava parcheggiata sulla pubblica via in un luogo incustodito. Queste summenzionate persone, continua la pp, «dopo la consegna dell’auto non sono più tornate, pertanto i soldi se li sarebbe potuti tenere lui». Per la procuratrice la colpa è medio-grave perché «ha scelto di delinquere. Doveva andare dalla polizia e raccontare il vero». Considerata la collaborazione e il fatto che è stato un tentativo, e non una truffa compiuta, la pp ha richiesto 10 mesi di pena sospesi.
Anche l’avvocato del 68enne, Fulvio Pezzati, ha ribadito che il suo cliente «sarebbe dovuto andare dalla polizia e raccontare la verità, ma lui non se la sentiva di fare nomi e infatti ha paura ancora oggi». Per Pezzati le tre denunce precedenti senza un seguito da parte delle autorità italiane «sono un esempio di come un modo di agire della polizia può essere criminogeno». Per la commisurazione della pena l’avvocato ha semplicemente chiesto che venga diminuita rispetto a quanto proposto dalla pp, dato che «lui è più una vittima che un delinquente». Dal canto suo la giudice ha sentenziato che nel racconto «ci sono alcune contraddizioni e contorni foschi, ma ci sono anche le denunce e i reperti medici nei quali risulta una mano gonfia». Oltre alla pena sospesa, ha ordinato anche il dissequestro dell’auto.