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Condannata la 66enne legata ai suicidi di ‘Carpe Diem’

Sono almeno otto le persone che hanno usufruito dei servizi proposti dalla donna a Chiasso. La colpa è stata ritenuta di media gravità

In sintesi:
  • La donna non dovrà scontare una pena carceraria sospesa, ma pagare 500 franchi di multa, ai quali si aggiungono 6’000 franchi di multa sospesi
  • L'imputata, ex collaboratrice di ‘Exit’, si era messa in proprio e incassava mediamente 2-3’000 franchi per il suo operato
Il medicamento utilizzato
(Ti-Press / Archivio)
23 ottobre 2024
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Oltre cento persone accompagnate al suicidio. Quasi tutte queste pratiche eseguite in modo lecito e senza scopo di lucro. Quasi tutte perché almeno in sette episodi la donna 66enne, comparsa davanti alla Corte delle Assise correzionali di Mendrisio in Lugano, ha percepito in totale un guadagno netto di 37’127 franchi. Proprio per questo motivo la procuratrice pubblica Chiara Buzzi – riprendendo un incarto dell’ex procuratore pubblico Nicola Respini – a distanza di sette anni dai fatti ha accusato la 66enne fondatrice dell’associazione Carpe Diem con sede a Chiasso, di istigazione e aiuto al suicidio. Come ha specificato a inizio processo il presidente della Corte Mauro Ermani, «questo è il nome del reato, ma è chiaro che non si tratta di istigazione, ma aiuto al suicidio». Nonostante una pena richiesta dalla pp di sei mesi sospesi e di tre mesi sospesi proposti dall’avvocato difensore Stefano Pizzola, il giudice ha ritenuto di condannare la donna solo a una pena pecuniaria.

‘Agivo come quando ero in Exit’

Da come è emerso in aula, la 66enne svizzera era un’infermiera, massaggiatrice terapeutica e per 13 anni collaboratrice con l’organizzazione Exit. Con l’associazione nata negli anni 80, basata a Zurigo e con oltre 160mila membri solo nella Svizzera tedesca, la 66enne si occupava della parte amministrativa fino anche della parte ‘pratica’: «Andavo a visitare i pazienti svizzeri, presentavo i documenti necessari e preparavo il bicchiere con all’interno il medicamento». Per tutti questi ruoli la 66enne percepiva un rimborso spese di 500 franchi a paziente, come da prassi anche in altre associazioni presenti sul territorio elvetico. Tutto questo accadeva fino a quando non decise di mettersi in proprio, prima con un’altra donna e poi autonomamente a Chiasso con la ‘Carpe Diem’. E proprio i sette suicidi assistiti praticati a Chiasso, dall’ottobre 2016 al febbraio 2017, sono quelli che hanno portato la donna alle Assise correzionali.

«La tipologia di associazione era la stessa. Così come l’attività che praticavo con Exit», le due sole differenze erano che Exit è un’organizzazione pluridecennale mentre ‘Carpe Diem’ non ha mai avuto degli statuti e che con ‘Carpe Diem’ la donna percepiva un guadagno più lauto, «mediamente di 2-3mila franchi». Dal decreto d’accusa – diventato un atto d’accusa –, emerge anche un guadagno netto proveniente dall’aiuto prestato a una 95enne di oltre 8mila franchi. «Qualche volta le persone erano benestanti – ha precisato la 66enne –, ma ogni volta che mi entravano soldi io li donavo in beneficenza. In un episodio avevo agito anche gratuitamente perché la persona non se lo poteva permettere e in altri 3 episodi, nei quali il suicidio non era avvenuto, avevo restituito i soldi salvo mille franchi come forfait delle spese dato che avevo già ordinato il medicamento».

La fine dell’attività

Le sette persone che la donna ha assistito avevano tra i 50 e i 95 anni, tutte con gravi malattie come la cachessia, tumori in stato avanzato o Sla. Situazioni che hanno portato a questa decisione estrema ai pazienti, ma che hanno lasciato un segno indelebile anche nella psiche della 66enne: «Vedere una persona morire non è facile. Io lo facevo per aiutarli, per dare a loro una morte dignitosa. Mi facevano pena, ma dopo un po’ tutto questo diventa pesante. Non ne potevo più». La donna, a seguito di un divieto da parte del comune di Chiasso per ragioni edilizie, ha deciso poi di smettere la sua attività, anche a causa di un esaurimento nervoso. Conclusa l’attività, ha distrutto buona parte dei documenti e, da come è emerso in aula, solo in un caso c’è stato un pagamento tramite banca; tutti gli altri erano eseguiti in contanti e non rintracciabili.

‘Intenzione non altruistica’

Il suicidio assistito è ’esploso' negli ultimi 20 anni. Secondo l’Ufficio federale di statistica nel 2000 se ne registravano 85, mentre nel 2022 sono stati 1’594. Un fenomeno – data anche la legislazione di Stati esteri, che non consente questa pratica – che attira gente anche dall’Italia. E proprio per questo motivo questo tipo di attività ha subito una forte crescita anche in Ticino. Per la pp «sono tante le persone disperate e disposte a utilizzare tutti i propri risparmi. Questo non poteva non fare gola all’imputata». In questa particolarità di reati la giurisprudenza non è tanta, ma «ogni accompagnamento deve essere svolto gratuitamente o per un massimo di 500 franchi. Ogni franco in più va inteso come guadagno. La sua intenzione non era dunque altruistica, ma voleva lucrare alle loro spalle». Per la procuratrice, la 66enne «ha agito in modo spregiudicato, se la sua intenzione fosse stata quella di aiutare queste persone, lo avrebbe fatto con un compenso inferiore».

‘Il lucro non è il principale fattore’

Anche l’avvocato difensore ha sostenuto che «la giurisprudenza è pressoché inesistente», ma in questo particolare caso nel quale il sottile spartiacque, tra un agire egoista e non, è la somma guadagnata, «il lucro non deve essere il principale fattore. Aiutare queste persone ad affrontare una sofferenza tale è una scelta estremamente difficile. Lei credeva di aver fondato un’associazione e le sue tariffe erano in linea con i prezzi che oggi ci sono sul mercato». Pertanto, ritenendo la colpa lieve della sua cliente e il tempo trascorso dai fatti ha chiesto il proscioglimento o al massimo tre mesi di pena sospesa.

Al centro della sentenza di Ermani ci sono dunque i motivi egoistici dei fatti. Durante il corso del dibattimento ha infatti dichiarato che questa «è ancora una materia inesplorata. Forse ci vorrebbe un po’ più di regolamentazione in questo ambito». Considerando dunque il solo guadagno, per Ermani «di beneficenza non ne ha fatta e operava in maniera sbrigativa. Ha agito per motivi egoistici cercando persone dall’Italia per crearsi questa opportunità economica». La colpa è stata dunque ritenuta «di media gravità», ma la 66enne non dovrà scontare una pena carceraria sospesa, ma pagare 500 franchi di multa, ai quali si aggiungono 6’000 franchi di multa sospesi dato «il tempo trascorso che ha violato il principio di celerità, l’ammissione dei fatti e la sua malattia psichica».